Teatro alle Tese – ore 20
Orchestra di Padova e del Veneto
Marco Angius |direttore
Alvise Vidolin, Kathinka Pasveer| regia del suono
Roberta Gottardi| mimo&danzatore
Alessandro Chiti| scenografia
Alberto Oliva| mise en espace
Teatro alle Tese – ore 23
RASSEGNA 23 APERTO
Demdike Stare
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L’inaugurazione del 61. Festival Internazionale di Musica Contemporanea non poteva meglio rappresentare la storia e i problemi “comuni” a questo genere: l’esecuzione di un repertorio storico, “Inori” di Karlheinz Stockhausen, la necessità di una guida all’ascolto, le polemiche e poi la muta ammirazione per esecuzione e per l’idea musicale.
Inori (adorazione in giapponese) si basa su di un’unica formula-base, tecnica che diventa caratteristica della musica di Stockhausen, composta da 5 segmenti (ritmo, dinamica, melodia, armonia, polifonia) che caratterizzano non solo la musica ma anche l’azione mimica.
Azione che trae spunto da culti diversi ed è, essa stessa, in partitura, annotata da Stockhausen come una scala cromatica di gesti che, sfruttando la tridimensionalità, può manipolare i 5 segmenti detti.
Si può così intuire come una guida all’ascolto fosse doverosa, ma, sia l’eccessiva durata, la presentazione si è trasformata in una intervista agli artisti coinvolti, sia per la lentezza della doppia esposizione bilingue (italiano-inglese) sono state latrici di mugugni e proteste
Alcuni spettatori non avvertiti che oltre ai 70 minuti di Stockhausen avrebbe dovuto assistere ad altrettanti su Stockhausen, hanno, così, preferito la via di casa.
Un peccato perché ciò che è avvenuto dopo, a luci spente e placati i mormorii, valeva sicuramente la pena di tanta attesa.
Marco Angius si conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, riferimento di prim’ordine per la contemporanea in Italia e l’OPV, sempre più plasmata a discrezione del suo direttore principale e direttore artistico, orchestra versatile e di sicuro affidamento.
La performance di Roberta Gottardi è coinvolgente e rapisce lo sguardo del pubblico dalla massa orchestrale impegnata ad eseguire la difficile preghiera.
Estremamente interessanti i momenti di contatto visivo e mimico fra il direttore e la performer. Momenti in cui i fili della preghiera venivano tirati dal mimo stesso che passava così da esecutore a demiurgo del brano.
Lasciando il sospetto, nello spettatore, di chi effettivamente dirigesse chi.
Probabilmente l’unico creatore rimane Stockhausen stesso, che deciso ogni minimo gesto, ogni posizione sul palco e ogni nota suonata (nel limite dell’umano eseguire), non può essere criticato né per la lunghezza del brano né per la difficile fruibilità da un pubblico non preparato.
Un brano che, persa la parte performativa, perde praticamente tutto.
Motivo in più per essere contenti di aver partecipato a questa prima italiana.
Con buona pace di chi è uscito dalla sala.
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SEZIONE 23 APERTO
Come nella scorsa edizione, il Festival dedica una rassegna parallela, dall’abito più giovanile, nel tentativo di avvicinarsi a generi più sperimentali e meno ancorati alla contemporaneità di partiture divenute negli anni storiche.
Se l’anno scorso questa formula aveva garantito una presenza giovanile capace di ribaltare totalmente l’età media in sala fra lo spettacolo delle ore 20 e quello delle ore 23 (orario, per l’appunto, d’inizio della rassegna 23 Aperto), almeno per il primo appuntamento questo si è verificato solo in parte.
Poche persone in piedi, ancora meno lamentele per l’inusuale brevità del concerto (meno di sessanta minuti), qualche applauso di cortesia e nessuna rentreè finale del duo Demdike Stare, dj Sean Canty e producer Miles Whittaker.
La loro performance, forse un poco condizionata dalla storia della rassegna d’esibizione e da alcuni problemi tecnici legati all’audio, non ha mai “acceso” il pubblico, che anzi, ha approfittato del primo silenzio convinto per applaudirli, a metà fra l’incoraggiamento e lo sfottò.
Alcuni buoni spunti e un finale che sembrava portare ad un aumento di livello della serata e che invece è coinciso con la fine dei giochi.
Grande mancanza, probabilmente, la scelta di non essere accompagnati una parte visual che assecondasse le loro sperimentazioni e coinvolgesse di più il pubblico.