Parafrasando il titolo di uno degli scritti di Mario Bortolotto, critico musicale italiano, la cui recente scomparsa, a più riprese, è stata commemorata in questi giorni veneziani, anche sulla 61esima edizione del Festival della Biennale Musica è tramontato il sole.
Parallelamente gli ultimi incontri della sezione Aperto 23 hanno riscontrato un buon successo di pubblico. Se i Musica Nuda, duo contrabbasso e voce, Ferruccio Spinetti e Petra Magoni, nel loro percorso di cover (L. Battisti, Beatles, B. Lauzi, Nat King Cole, …) hanno utilizzato i testi di Fosco Maraini, etnologo e orientalista, per ricamare il programma e avvicinarlo alla tematica del Festival, Enrico Rava e il suo New Quartet (Gabriele Evangelista, contrabbasso, Francesco Diodati, chitarra ed Enrico Morello, batteria) si sono avvalsi della collaborazione della pianista Makiko Hirabayashi per presentare il proprio progetto Wild Dance, realizzato l’autunno scorso in Giappone.
Concerti estranei ai programmi del Festival, sul solco, però, del coinvolgimento di generi diversi, ma uniti della ricerca sperimentale, hanno richiamato più il pubblico affezionato che quello giovane e giovanissimo, grande assente di questa edizione trasversale serale.
Profumi e vesti orientali a programmi strettamente occidentali, hanno caratterizzato anche il concerto di premiazione del Leone d’Argento, a Dai Fujikura con la motivazione “I suoi [ndr] lavori rivelano un senso della forma che in genere appartiene ai maestri di generazioni più avanzate e un’inventiva nel trovare soluzioni inedite nell’utilizzo dello strumento, sia esso solista che grande orchestra, così rare da far pensare a lui non più come una promessa, ma come già un’importante realtà nella musica del nostro tempo”.
Protagonisti della serata sono stati i professori dell’Orchestra di Padova e del Veneto, orfana in questa occasione del suo direttore principale. Nuovamente sul palco dopo il concerto di inaugurazione (https://www.teatrionline.com/2017/10/venezia-61-biennale-musica-29-09-angius-e-ladorazione-di-stockhausen/), gli orchestrali si sono contraddistinti per la concentrazione nell’esecuzione di brani, non eccessivamente articolati né d’impronta spiccatamente orientale, ma dagli ingressi fondamentali.
Di particolare interesse l’utilizzo del koto come strumento solista nel brano Concerto per koto di Malika Kishino e l’utilizzo non convenzionale del corno solista nella prima assoluta Horn Concerto n.2 di Fujikura.
Peccato non aver avuto modo di sentire, così come era stato per la serata dedicata a Tan Dun, leone d’oro (https://www.teatrionline.com/2017/10/venezia-61-biennale-musica-30-09-nel-segno-del-leone-dorato/) più brani del compositore, così da avere una visione complessiva sia dell’evoluzione stilistica che delle sua produzione.
OPV coprotagonista anche dell’interessante incontro di presentazione del disco “Abyss” (Stradivarius) dedicato a Franco Donatoni e a quattro suoi brani in prima registrazione.
Intervistato dal preparato Alberto Massarotto, il direttore Marco Angius ha dimostrato, qualora fosse ancora necessario, tutta la sua conoscenza e la sua dedizione al repertorio contemporaneo.
Dedizione che è pienamente riscontrabile nell’alta qualità delle sue esecuzioni.
Di differente origine e risultato, le prime assolute, commissione Biennale, di mercoledì sera (La vallée des Merveilles – Maurilio Cacciatore e Hanatsu miroir) e di domenica sera (Il rosso risvegliato – Alexander Chernyshkov e Tempo Reale).
La visual performance di Cacciatore, piace, soprattutto al folto pubblico giovane in sala, per la sua capacità di “danzare” sopra a molti generi e arti (elettronica, videoarte, danza) senza per questo ancorarsi ad una base specifica. Coadiuvato dal collettivo Hanatsu Miroir, il racconto, anche se di non facile lettura, trae spunto da miti e leggende della Valle delle Meraviglie, raccolti in un libro da Jaques Drouin.
Il processo di sperimentazione forse poteva essere ancora più ardito sfruttando maggiormente le luci e i riflessi sulle particolari scene (effetti che contraddistinguevano l’inizio spettacolo ma che sono andate via via sparendo) e migliorando il contributo video che alcune volte appariva quasi sacrificato, dietro ad una tenda.
Molto coinvolgente la coreografia di Noëllie Poulain e Yon Costes, protagonisti in scena e nella narrazione.
Così come protagonisti sono stati, musicalmente e recitativamente, Alessandro Baticci e Dario Fariello, per lo spettacolo di Alexander Chernyshkov, protagonista della Biennale College dell’anno scorso.
Rielaborando alcune delle sue tematiche, come il teatro dell’assurdo, l’utilizzo di creazioni tecnologiche musicali e una partitura in cui le azioni stesse sono le note sul pentagramma, il pubblico ha seguito una performance di difficile catalogazione.
Molto interessante, seppur non originale, la volontà di piazzare le diverse postazioni sceniche in mezzo al pubblico, così costantemente coinvolto dall’azione.
Se i momenti musicali sono stati di altissimo livello, nonostante alcuni volumi eccessivamente alti, il tessuto drammaturgico, privo di quella componente ironica che era stata apprezzata l’anno scorso, non ha retto per l’intera durata dell’opera, giungendo a punti morti in cui si faceva fatica a scrutare dove volesse arrivare la volontà del creatore.