Rino Gaetano ci manca da oltre 35 anni ma il ricordo è vivido nella memoria dei suoi coetanei che ne hanno apprezzato l’ironia con cui veicolava denunce culturali o stigmatizzava vizi e difetti sociali. Ma è conosciuto e ritenuto artista di culto da giovani non ancora nati quando, la notte del 2 giugno 1981 si schiantò con l’automobile contro un camion a Via Nomentana.
Marco Morandi ha una passione per il cantautore calabrese, da anni è la sua voce portando in giro per la penisola col gruppo dei RinoMinati quei testi intramontabili, che fotografano una società guidata da corrotti e sordi ai bisogni dei cittadini: basterebbe cambiare i nomi, che Rino doviziosamente inseriva nei suoi testi e che gli hanno creato alcuni problemi di censura.
Lo spettacolo segue un andamento cronologico in cui gli aneddoti sono raccontati da Claudia Campagnola nei panni di una groupie del cantante, del quale conosce ogni esperienza umana e professionale. Le groupie negli anni Settanta erano le fans accanite di un personaggio che seguivano costantemente nei tour, sostenendolo ed entrando in confidenza.
La ragazza ci racconta degli anni in seminario a Narni, dove compone il poemetto “E l’uomo solo”, poi tornato a Roma, scrive canzoni ispirandosi a Jannacci, De André. Celentano ma anche Bob Dylan e i Beatles. Al Folkstudio conosce Antonello Venditti e De Gregori e inizia a comporre testi fortemente ironici e dissacranti, mal tollerati dagli altri artisti che li ritenevano non adatti al pubblico del locale.
Rinunciando al lavoro in banca procuratogli dal padre, incide il primo 45 giri “I love You Marianna” ma, non soddisfatto della sua voce ruvida e poco intonata, utilizza lo pseudonimo Kammamuris, rifiutando la definizione di cantautore.
Lo stile goliardico e di dissacrante nonsense emerge nell’album “Ingresso libero” in cui descrive l’atmosfera del bar Barone che frequentava bevendo lattine di birra e i temi legati all’emarginazione e alla nuova realtà industriale. I flash di difficile vita quotidiana decretano il successo di “Ma il cielo è sempre più blu” e di “Mio fratello è figlio unico”.
L’abbigliamento pittoresco diventa un marchio di stile che si lega alle musiche allegre di pochi accordi e ai testi estemporanei e surreali il cui messaggio emerge tra le righe. Il suo spirito libero trova una cassa di risonanza sul palcoscenico di Sanremo del 1978 dove, con frac cosparso di medaglie, tuba, maglietta a righe bianche e rosse e scarpe da ginnastica suona l’ukulele cantando la paradossale “Gianna”. Lo sfottò ai politici arriva con il lungo elenco di nomi in “Nuntereggae più”.
Profetico il proclama durante un concerto sulla spiaggia di Capocotta in cui afferma che non si sarebbe fatto mettere il bavaglio, ma in futuro le sue canzoni sarebbero state cantate dalle nuove generazioni che avrebbero aperto gli occhi senza coprirli di sale, comprendendo il suo messaggio. Poi il fatale incidente, dopo il quale tre ospedali della capitale ne rifiutano il ricovero perché non attrezzati per interventi di trauma cranico, tragica realtà dei versi di “La ballata di Renzo” scritta dieci anni prima, in cui un giovane investito muore per mancanza di disponibilità al Policlinico, San Giovanni e San Camillo.
Marco Morandi canta con generosità e immedesimazione e suona la chitarra accompagnato da Giorgio Amendolara al piano e tastiere, Menotti Minervini al basso e Umberto Vitiello alla batteria e percussione, mentre Claudia Campagnola tesse con sognante spontaneità la trama del racconto.
Scritto e diretto da Toni Fornari che fa risaltare la personalità ironica, graffiante e anticonformista di Rino, che ci manca sempre.
Però, il cielo è sempre più blu.