Il titolo dello spettacolo, Da questa parte del mare, campeggiava sulla copertina dell’album pubblicato nel 2006 e sarebbe stato lo stesso, dieci anni dopo, del romanzo pubblicato postumo da Einaudi, dopo la morte del cantautore nel marzo del 2016. La riflessione di Gianmaria Testa valica i confini della canzone, gettandosi sulla carta stampata e aprendo all’immediatezza del palcoscenico, con il contributo di Alessandra Ballerini e Marco Revelli all’adattamento, per la regia di Giorgio Gallione e l’interpretazione di Giuseppe Cederna.
Perdendo la legittima paternità del cantautore, il decennale impegno di Testa nel raccontare la tragedia dei migranti attraverso il Mediterraneo viene ripreso da uno spettacolo che mantiene il suo punto di vista – costruito sulla scaletta dei suoi brani – alimentandone la capacità di comunicare agli astanti la tragedia di chi è costretto a lasciare il proprio paese e la propria casa per affrontare un viaggio disperato.
Nell’intento del regista Giorgio Gallione e nella narrazione per bocca di Giuseppe Cederna, lo spettatore deve anzitutto collocare l’accaduto in un contesto noto, annebbiato dalla superficialità delle informazioni dovuta alla loro insostenibile quantità: abbandonando qualunque pretesa di veridicità giornalistica e qualsiasi velleità sensazionalistica, lo spettacolo ci parla dei migranti riferendosi al punto di vista di chi accoglie o respinge gli immigrati, “da questa parte del mare”, quello di chi probabilmente ha ricevuto la notizia degli sbarchi all’isola di Lampedusa, ma che non ha mantenuto memoria. Gli appigli per contestualizzare la (vera) tragedia si manifestano nei riferimenti all’Odissea, la prima, sofferta traversata del Mediterraneo della storia umana, alla scultura de La Porta d’Europa, realizzata a Lampedusa da Mimmo Paladino in memoria dei migranti caduti in mare (2008), perfino al film Mediterraneo di Gabriele Salvatores (1991).
L’impegno del testo originale cui si faceva riferimento non è dunque soltanto finalizzato al raccontare il punto di vista di chi il mare ha dovuto percorrerlo in condizioni azzardate e precarie, ma anzitutto a ricordare che l’approdo degli immigrati sulle coste siciliane ha portato con sé storie di speranza e riscatto, lasciandosi alle spalle gli orrori della guerra. Il viaggio per mare raccontato nel poema omerico e portato al cinema da Salvatores certo non condivide i risvolti tragici dei fatti di cronaca che Gallione e Cederna riprendono da Gianmaria Testa, per esprimere i quali la scenografia allestita da Lorenza Gioberti e illuminata da Andrea Violato si anima del linguaggio archetipico degli elementi: con gesti semplici, Cederna interagisce con l’acqua, il fuoco, la terra e l’aria, portando sul palco una piccola porzione dell’impeto naturale che rende tanto la traversata del Mediterraneo tanto avventata e disperata.
L’album e il romanzo di Gianmaria Testa rappresentano un memento delle fragili condizioni umane che ci accomunano, nonostante la distanza percorsa da chilometri di acqua salata. La trasposizione teatrale è una cronaca ulteriore di quella tragedia, non compromessa dai filtri mediatici che non possono annullare una simile distanza. Per comprendere davvero i motivi e le conseguenze dei flussi migratori, la lucidità del compianto cantautore è forse più necessaria di quanto si possa ritenere, forse addirittura indispensabile.
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Da questa parte del mare
tratto da Gianmaria Testa
regia Giorgio Gallione
con Giuseppe Cederna
Adattamento di Alessandra Ballerini e Marco Revelli
scenografia di Lorenza Gioberti
luci di Andrea Violato
Produzioni Fuorivia, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale