Lunedì 20 Novembre, Teatro alla Scala
A. Dvorak | Karneval op.92
G. Gershwin | Concerto in fa per pianoforte e orchestra
A. Dvorak | Sinfonia n.9, op. 95 “Dal Nuovo Mondo”
direttore | Christoph Eschenbach
pianista | Tzimon Barto
Orchestra Filarmonica della Scala
——–
“…e se guardavi bene, già la vedevi, l’America, già lì pronta a scattare, a scivolare giù per nervi e sangue e che ne so io, fino al cervello e da lì alla lingua, fin dentro quel grido, America, c’era già, in quegli occhi, di bambino, tutta, l’America!” (tratto dal monologo teatrale “Novecento” di Alessandro Baricco).
In un periodo in cui l’argomento costante di giornali e delle tribune politiche è l’emigrazione e l’immigrazione, balza all’occhio il programma odierno della stagione sinfonica della Scala che, lontana dal voler prendere una posizione nella discussione come è giusto che la musica faccia, si concentra sul far musica degli emigrati in America.
Se Gershwin, di origini lituane e russe ma nato oltreoceano, è uno dei principali esponenti della storia della musica americana, Dvorak raggiunse l’America a coronamento della sua fama europea. Entrambi, interessati ai ritmi e ai temi locali, realmente estrapolati o semplicemente riadattati al gusto stelle e strisce, scrissero con un occhio di riguardo al vecchio continente che ancora era il vero arbiter della musica classica.
Il concerto della stagione sinfonica, con ospite la Filarmonica della Scala, ha visto intrecciarsi questi due autori in un ideale passaggio di consegne.
Dal primo brano, Karnival, ultima fra le composizioni di Dvorak prima dell’emigrazione, una ouverture dalle radici slave, di cui il direttore della serata, Eschenbach ha dato grande risalto alle differenze dinamiche presenti in partitura, producendo pianissimi di pregevole fattura.
Applausi anche per il concerto solistico della serata, quello per pianoforte e orchestra di Gershwin. Tutti meritati per il pianista, a suo agio sul palco di Milano nonostante una visibile emozione durante gli inchini, meno per la lettura di Eschenbach, che pur nella precisione generale, non riesce a rendere evidenti quei piccoli dettagli orchestrali che danno guizzo alla partitura.
Il maestro Barto, scoperto da Eschenbach stesso alla fine degli anni ’80 e il cui sodalizio continua tutt’ora, ha intrattenuto, infine, il pubblico anche per un bis, di matrice jazz.
Dopo il necessario tempo di sistemazione del palco e di una pausa forse più lunga del necessario, il ritorno a Dvorak, in un ideale collegamento americano, fra chi l’America l’ha vissuta come cittadino (Gershwin) e chi l’ha vissuta da artista ospite (Dvorak).
Eschenbach ha prediletto tempi distesi, preferendo l’enfasi delle frasi musicali, spesso rimarcate, in particolare fra i passaggi da una all’altra, all’esplosività insita nella partitura.
Ciò ha permesso grande sfogo al lirismo, ad esempio degli archi, compromettendo, però, la sicurezza degli ottoni in più di una occasione.
Di grande effetto, come il pubblico si aspettava e pretendeva, il finale della Sinfonia, riepilogativo per quanto riguarda i temi precedentemente esposti e ritmicamente esuberante.
Prossimo appuntamento della stagione, nell’anno nuovo, a Gennaio, con la direzione di Zubin Mehta e Krassimira Stoyanova, soprano, musiche della famiglia Strauss.