Uno spettacolo che ha fatto discutere e fa discutere tuttora il mondo teatrale spaccato in due: chi lo condanna senza remore e chi invece ci vede qualcosa di geniale. Prodotto dal Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Atto Unico/Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Biondo di Palermo e Festival d’Avignon, dopo essere stato su alcuni dei più importanti palcoscenici italiani ed europei, Bestie di scena fa tappa a Reggio Emilia, unica data prevista in Emilia Romagna.
Bestie di scena nasce dalla volontà della pluripremiata regista Emma Dante di rendere pubblico il lavoro dell’attore, fatto di sacrifici, fatica, bisogno di uscire da sé stesso per incarnare un altro sé sul palco, proteso nel donarsi completamente al pubblico. Se si pensa a questo obiettivo, risulta più che naturale lo “spogliarsi” dei performer: non è un atto fisico, non è fine a sé stesso, ma la cifra di un senso più alto che rappresenta non avere tabù, essere completamente liberi di mostrarsi per quello che si è, senza “abbellimenti”, filtri, finzioni per l’appunto. L’attore di Emma Dante è una tela bianca pronta ad essere colorata con mille materiali diversi, in tutte le sfumature di colore possibili e immaginabili.
Il “peccato” sta negli occhi di chi guarda, ed è per questo che gli attori si coprono a vicenda occhi, seni e genitali. Per i primi cinque minuti si è catturati da questo “atto estremo” (che poi così estremo non è), poi semplicemente le azioni del gruppo prendono forma e tutto il resto trascina lo spettatore in un vortice senza uscita. Il gruppo di attori è “in gabbia”, costretto a fare “branco” per affrontare pericoli/input che arrivano da dietro le quinte. L’unica possibilità è far “vivere” gli oggetti interagendo, o meglio reagendo ad essi, creando situazioni dai mille risvolti, in una serie di azioni che non rappresentano altro che la vita stessa. Si avvicendano così circostanze diverse, il singolo esce dal gruppo per diventare protagonista del quadro scenico e poi vi rientra, in un’empatia corale di straordinaria efficacia. Sottofondo sonoro è il tappeto di respiri, sospiri, passi e parole non del tutto pronunciate. Unica eccezione musicale Only you dei Platters: climax di contorno ad una danza di corpi scoordinati e imperfetti, ma proprio per questo veri.
“Nudi e crudi” non sono soltanto gli attori, ma le azioni che si trovano ad interpretare: “ballano, cantano, urlano, litigano nei dialetti del sud, seducono, impazziscono, amano, ridono, combattono” (come afferma la Dante nelle note di regia), illudendosi di stare vivendo una vita non loro. L’interpretazione viene portata al limite e liberata in un finale intenso ma soprattutto liberatorio. Più per gli attori o per gli spettatori? In ogni caso ciò che rimane sul palco restituisce la misura di quello che in un’ora e una manciata di minuti un “branco” di attori/uomini è stato capace di realizzare, nel bene e nel male.