Il Nabucco di Giuseppe Verdi è un’opera intrecciata al nostro DNA di italiani, e non per un caso fortuito, ma per quello che ha rappresentato nella formazione del nostro stato nazione, o almeno di come lo intendiamo noi oggi.
A prescindere dal colore politico o da come la si pensi sull’Italia moderna, quindi, è difficile non emozionarsi ascoltando le note del Va pensiero, soprattutto se eseguite all’interno di un altro dei luoghi simbolo del risorgimento come è il Teatro alla Scala.
Detto questo, però, e tolti i pochi minuti del coro arci-famoso, questo Nabucco non ha saputo regalarci molte altre emozioni, incastrato all’interno di quello che ci è sembrato più un cervellotico esercizio di stile estetico, piuttosto che una ricerca di produrre una storia quanto meno verosimilmente aderente al libretto.
L’allegoria (o forse dovremmo dire l’iperbole) su cui il regista costruisce tutta la produzione è basata su un parallelo tra le vicende del Nabucco e l’olocausto, un parallelo privo di tempo e spazio, dove si evidenzia la persecuzione degli ebrei in senso diacronico, sospeso in un ambiente che non è reale, ma nemmeno immaginifico: si potrebbe dire piuttosto incastrato in uno spazio asettico, dove tutto diventa monocromatico, statico nel movimento scenico quanto nel frame concettuale all’interno del quale resta immobilmente incastonato.
Tanto forzosa questa iperbole narrativa da rendere le vicende scritte da Temistocle Solera quasi incomprensibili.
Ad accentuare questo fatto anche i costumi, che rendono quasi impossibile distinguere tra le due fazioni, volendo sottendere forse un senso profondo di comune umanità, che però non è certo funzionale alla comprensione delle vicende.
Certo, sulla carta l’archetipo verdiano risorgimentale del popolo schiavo e poi liberato può reggere una similitudine con la tragedia dell’olocausto, considerando che in entrambi i casi si tratta del medesimo popolo ebraico, ma le similitudini tra la vicenda originale e questa dematerializzazione della persecuzione razziale nazi-fascista si fermano qui.
Le scene di Alison Chitty sembrano uscite da una delle ultime biennali di Venezia, assieme ai video di Luca Scarzella, le luci di Alessandro Carletti sono molto ben studiate, nel complesso il valore estetico di quello a cui abbiamo assistito è molto alto ma, come già detto, sembra più un vezzo vanaglorioso del regista Daniele Abbado e della sua squadra, più che una celebrazione di Verdi e di quello che il Nabucco è stato e sarà sicuramente per molto tempo ancora.
Nello Santi, che già aveva diretto l’ultima Traviata scaligera, sembra ripetersi nella dilatazione estenuante dei tempi. Nel complesso anche la performance dell’orchestra è priva dello smalto a cui siamo abituati, con qualche imprecisione chiaramente percepibile e diversi attacchi non proprio puntuali.
Perfino Leo Nucci, che è senza dubbio uno dei fuoriclasse più accreditati nel teatro contemporaneo, ci è sembrato in questo caso fuori forma, soprattutto nel primo atto. Anche se nel complesso ha offerto una performance forse non degna di nota, ma all’altezza delle aspettative: la classe che dimostra sul palco, la capacità interpretativa e una Dio di Giuda memorabile hanno ampiamente bilanciato tutte le altre pecche della serata.
Ci è piaciuta molto anche la Abigaille di Anna Pirozzi: un timbro morbido, delicato ma possente all’occorrenza, accompagnato a grandi doti interpretative. Assieme alla nemesi Annalisa Stroppa si è formato un duo femminile interessante, perfettamente bilanciato e del tutto apprezzabile.
Bravi anche Stefano La Colla nel ruolo di Ismaele e Mikhail Petrenko in quello di Zaccaria.
In generale bisogna dire che il cast ha sofferto per i tempi imposti dal maestro, che ha reso difficili i fraseggi e i fiati, mettendo a dura prova le capacità diaframmica dei cantanti, su uno spartito che da questo punto di vista è già di per sé piuttosto impegnativo.
Anche il coro preparato da Bruno Casoni sembra aver sofferto questo problema, anche se in misura minore, per ovvie ragioni: non una performance eccellente come quelle a cui siamo abituati.
A fine recita applausi convinti ma non fragorosi come un Nabucco alla Scala dovrebbe ottenere.
La recensione si riferisce alla recita di giovedì 16 novembre 2017.
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Nabucco
Di Giuseppe Verdi
Dramma lirico in quattro parti
Libretto di Temistocle Solera
(Edizione critica a cura di R. Parker; The University of Chicago Press e Casa Ricordi, Milano)
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Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Produzione Teatro alla Scala, Royal Opera House – Covent Garden di Londra, Lyric Opera di Chicago, Gran Teatre de Liceu di Barcellona.
Direttore Nello Santi
Regia Daniele Abbado
Scene E Costumi Alison Chitty
Luci Alessandro Carletti
Movimenti Coreografici Simona Bucci
Video Luca Scarzella
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Personaggi e interpreti
Nabucco Leo Nucci
Ismaele Stefano La Colla
Zaccaria Mikhail Petrenko
Abigaille Anna Pirozzi
Fenena Annalisa Stroppa
Il Gran Sacerdote Giovanni Furlanetto
Abdallo Oreste Cosimo
Anna Ewa Tracz