Dopo Irony of Life e Love and other Cruelties, la terza stagione lirica OPER.A 20.21 della Fondazione Haydn, Escape from reality, inaugura con Die Antilope in prima rappresentazione italiana. Nata a Lucerna nel 2014 su musica di Johannes Maria Staud e libretto di Durs Grünbein, si presta a molteplici piani di lettura, affondando le radici in pochi concetti, chiari e individuabili, specchio d’una realtà umana ormai cupa. L’impiegato Victor per fuggire dal party aziendale del venerdì sera si getta dal tredicesimo piano. Viaggerà nella notte, in un mondo dove reale e irreale si confondono, ritrovandosi di nuovo alla festa, ma assieme al piccolo Victor, abbandonato dalla madre qualche attimo prima al Café. Questa circolarità strutturale, in cui al termine tornano identici i primi cinque minuti iniziali, altro non è che l’inesorabile ciclicità dell’odierno da cui è impossibile scappare. Come l’antilope, animale che vive in branco, eppure molto individualista, Victor si sottrae all’ordine prestabilito usando l’antilopisch, idioma incomprensibile persino a una scultura astratta parlante un’altra lingua sinnlos, senza senso. Staud, classe 1974, concilia la cultura mitteleuropea del Novecento, inserendone alcune suggestioni quali la psicanalisi, il dadaismo, la metafisica, Jonesco e Beckett, con un generico contemporaneo mainstream fatto di clown cattivi e lavoro alienante. Segnaliamo alcuni quadri davvero riusciti quali il Café Traumzeit, il trio dei pagliacci-dottori e il dialogo con la scultura.
La partitura è un felice connubio di generi, figlia d’una sapiente dimestichezza nel trattare linguaggi diversi, dal tonalismo all’atonalità, dal jazz allo swing al pop. Coerente col desiderio d’una musica non solo veicolo di significati, ma anche d’inganni, Johannes Maria Staud impiega live electronics, curati da Christina Bauer, ovvero frammenti di conversazione e vari campionamenti per meglio circoscrivere la “savana” di Victor. Non meno importante, il compositore palesa notevole esperienza nel trattare l’elemento polifonico, utilizzando il coro come trait d’union e le voci soliste in termini non virtuosistici, ma di canto di conversazione, senza risparmiare frullii, fruscii ed altri effetti sonori. Il libretto del poeta Durs Grünbein, con cui Staud collaborò nel 2006 per Berenice, tratta da un racconto di Poe, è ricco di concetti stimolanti e trovate drammaturgiche di spiazzante originalità.
La regia di Dominique Mentha riflette perfettamente le idee degli autori, studiata in ogni singolo dettaglio, con un occhio all’onirico, al grottesco e alla commedia, nel paradosso di una incomunicabilità, a tratti ironica, già dilagante nella vita fuori dal teatro, alla faccia dei social. Minimali le scene di Werner Hutterli e Ingrid Erb, che disegna pure i costumi e le dettagliatissime maschere zoomorfe. Il light design di Norbert Chmel circonfonde l’azione di tinte ora sinistre, ora fugacemente serene.
Prova superata per il baritono Wolfgang Resch, Victor dalla presenza scenica impeccabile nella sua alienazione, forte della voce facilmente adattabile alle esigenze del personaggio che contempla gravi e sovracuti in falsetto. Tra gli altri interpreti, impegnati in molte parti, spiccano Elisabeth Breuer, a cui è affidato inoltre il ruolo della scultura, e la madre di Catrina Poor. Bene Maida Karisik (collega 2, donna 2, donna anziana), Bibiana Nwobilo (segretaria, giovane donna, passante), Gernot Heinrich (collega 1, giovane uomo, dottore 1), Christian Kotsis (capo, capocameriere, collega 2, passante, dottore 2) e Ardalan Jabbari (dottore 3, vigile). Leonhard Felix Mahlknecht è il piccolo Victor.
Di grande lustro la direzione di Walter Kobéra, alla guida dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento sempre più specializzata nel repertorio contemporaneo, che rende merito alla scrittura di Staud evidenziandone le peculiarità con scelte interessanti e piena contezza della materia.
Eccellente il Wiener Kammerchor, preparato da Michael Grohotolsky, già sentito la scorsa primavera nel Nos di OPER.A 20.21 a Trento (qui la recensione).
Consensi generali da parte del foltissimo pubblico alla prima del 2 dicembre.
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Die Antilope
Libretto: Durs Grünbein
Musica: Johannes Maria Staud
Prima rappresentazione italiana
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Personaggi e interpreti:
Victor: Wolfgang Resch
Collega 1, donna 1, scultura: Elisabeth Breuer
Collega 2, donna 2, donna anziana: Maida Karišik
Segretaria, giovane donna, passante: Bibiana Nwobilo
Collega 1, giovane uomo, dottore 1: Gernot Heinrich
Capo, capocameriere, collega 2, passante, dottore 2: Christian Kotsis
Dottore 3, vigile: Ardalan Jabbari
Madre: Catrina Poor
Giovane Viktor: Leonhard Felix Mahlknecht
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Direzione musicale: Wlater Kobéra
Regia: Dominique Mentha
Scene: Ingrid Erb, Werner Hutterli
Costumi: Ingrid Erb
Lighting design: Norbert Chmel
Sound design e live electronics: Christina Bauer
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Coro: Wiener Kammerchor
Maestro del coro: Michael Grohtolsky
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Coproduzione Neue Oper Wien, Fondazione Haydn Stiftung dalla coproduzione originale di Theater Luzern, Lucerne Festival, Oper Köln