Adattamento e regia Carlo Cecchi
con Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò
e con Federico Brugnone, Davide Giordano, Dario Iubatti, Matteo Lai, Chiara Mancuso, Remo Stella
scene di Sergio Tramonti
costumi di Nanà Cecchi
luci di Camilla Piccioni
assistente alla regia Dario Iubatti
assistente alle scene Sandra Viktoria Müller
direttore tecnico allestimento Roberto Bivona
produzione MARCHE TEATRO
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«Sono guarito, signori: perché so perfettamente di fare il pazzo, qua; e lo faccio, quieto! – Il guaio è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla la vostra pazzia. […] La mia vita è questa! Non è la vostra! – La vostra, in cui siete invecchiati, io non l’ho vissuta!»
Teatro nel teatro, realtà e finzione, follia e normalità: il tema del doppio, tanto caro a Pirandello e anche a Carlo Cecchi, che decide di rappresentare un teatro sospeso tra verità e rappresentazione.
L’opera narra di un uomo che cade da cavallo durante un corteo in costume mentre impersonava l’imperatore di Germania Enrico IV. In seguito al trauma, crede di essere veramente il personaggio che rappresentava. Per anni vive una vita patinata e fiabesca con l’aiuto di quattro uomini pagati per fingersi suoi consiglieri segreti. A un certo punto egli riconquista la ragione. Tuttavia continua a fingersi pazzo. Osserva così, da fuori, la grande sceneggiata predisposta per lui, che coinvolge anche la donna che amava, Matilde Spina, l’amante di lei Tito Belcredi, un dottore che vuole provocargli uno choc per farlo rinsavire. Il personaggio di Enrico IV, del quale sapientemente non ci viene mai svelato il vero nome, quasi a fissarlo nella sua falsa identità, è descritto minuziosamente da Pirandello. Enrico è vittima non solo della follia, prima vera e poi simulata, ma dell’impossibilità di adeguarsi ad una realtà che non accetta, essendo ormai stritolato dal ruolo stereotipato del pazzo. Egli sceglie di rimanere pazzo, osserva il mondo orrendo che gli sta intorno e capisce di non poterne fare parte. Meglio fingersi folle e continuare a recitare il personaggio che interpretava durante la cavalcata.
Carlo Cecchi, che veste i panni sia del regista che del protagonista, riesce a rendere, con magistrale ironia, la vicenda meta-teatrale, presentando i temi della finzione e della realtà con una rara freschezza, arrivando alla profondità estrema dei personaggi, senza mai appesantire la messinscena. Cecchi con maestria e semplicità riesce a dare risalto alla modernità pirandelliana e alla sua intera poetica, riportando in scena i grandi temi della maschera, dell’umorismo, dell’identità, del rapporto tra essere e apparire e della contraddittorietà tragicomica della nostra esistenza. Mediante la brillante ironia registica di Cecchi, lo spettatore è messo sotto scacco, viene stordito e confuso tra i livelli di realtà e finzione, proprio come soltanto le opere di Pirandello riescono a fare.
Carlo Cecchi riesce a tenere la scena sempre vivida, anche grazie al contributo di validi attori: Matilde (Angelica Ippolito), il dottore (Gigio Morra), Tito (Roberto Trifirò), e ancora Federico Brugnone, Davide Giordano, Dario Iubatti, Matteo Lai, Chiara Mancuso, Remo Stella.
Alla fine la tragedia si conclude in farsa. La potente macchina, del teatro e della vita, continua inesorabile.