Di finte semplici ne troviamo a bizzeffe nella letteratura musicale europea, ma La Cecchina (1760) di Niccolò Piccinni è la versione più interessante e fortunata di questo topos. Dieci anni prima Carlo Goldoni scrisse La Pamela, riscuotendo consensi favorevoli dentro e fuori la Serenissima, addirittura al Capranica di Roma, rielaborata poi ne La buona figliuola, messa in scena con musica di Egidio Romualdo Duni al Teatro Ducale di Parma nel carnevale del 1757. Solo la scrittura fluida e d’incredibile immediatezza dell’arguto Piccinni, che dileggia tra una nota e l’altra vizi e stravizi dell’opera seria, permise al testo di non cadere nell’oblio. Invero, tali successi non sarebbero esistiti senza il romanzo epistolare Pamela di Samuel Richardson, interessante caso di best seller del XVIII secolo. Il drammaturgo, a differenza dello scrittore inglese, ritiene però “ingiuriorissime” le nozze tra ceti differenti e metamorfizza la serva nella giardiniera-baronessa Cecchina affinché il matrimonio finale rimanga tra ranghi nobiliari. La protagonista, conscia nella prosa della propria sensualità, è spogliata della veste licenziosa e rivestita d’amore idealizzante.
A Treviso è riproposto l’allestimento ideato da Francesco Bellotto nel 2007, nato come progetto del Teatro La Fenice di Venezia per le celebrazioni del trecentesimo compleanno di Goldoni, qui ripreso da Martin Ruis, onnipresente in scena come clochard. Facendo leva sulla somiglianza dell’ordinamento sociale e concentrandosi sulla tipica sentimentalità goldoniana, Ruis sposta la vicenda negli anni Trenta del Novecento, in una megalopoli che potrebbe essere New York come suggerisce il ponte di Brooklyn della pregevole scenografia monocromatica di Massimo Checchetto, impreziosita dal disegno luci di Roberto Gritti. Scavando allora nella cultura del tempo, non poteva che essere il cinema la lente sotto cui rileggere il tutto. I riferimenti a Chaplin, Keaton e i fratelli Marx abbondano e non ci si stupisce se spezzoni di film muti raccontano, durante la sinfonia, le origini nobili di Cecchina, fioraia come in City Lights. Ad ogni numero musicale corrispondono piacevoli controscene, ben studiate e giustificate dallo sguardo cinematografico del regista, e lo sconfinamento dell’azione in platea. L’ironia che pervade il libretto è risolta in maniera intelligente e mai scontata. I costumi di Carlos Tieppo suggeriscono fisionomie esatte, ad esempio Paoluccia identica a Prissy di Gone with the wind, il Marchese ad Harold Lloyd, Lucinda a Elsa Lanchester in Bride of Frankenstein e Tagliaferro al Great Dictator. Nel complesso, operazione riuscitissima.
L’Ensemble Benedetto Marcello, diretto da Eddi De Nadai, conferisce al dramma una forma cameristica che può piacere o meno ma a cui gioverebbe qualche arco in più. La conduzione, così come i recitativi al clavicembalo, è precisa e in stretto contatto col palcoscenico ove si avvicendano giovanissimi cantanti.
All’intera compagnia va riconosciuta la capacità di adempiere con gusto e estrema pulizia alle indicazioni registiche. In essa si distingue senza ombra di dubbio Elisa Verzier, Cecchina dalla voce omogenea, attenta nel fraseggio e priva di cali d’intonazione. Il personaggio, descritto da Piccinni con sincopi, ritmi ternari, tonalità minori e melodie semplici, risalta in tutta la sua candidezza grazie all’interpretazione curata di Verzier. Ottimo il Mengotto di Michele Soldo, baritono talentuoso dal bel timbro scuro, anch’esso capace di mantenere il ruolo su alti livelli musicali. Lu Yaxiang supera lo scoglio del tedesco maccheronico di Tagliaferro, vantando una linea di canto lussuosa, già sviluppata e versatile nei vari registri. Bene la Sandrina di Arianna Cimolin, migliorabile in acuto, e la Paoluccia di Jingchao Wu. La Lucinda di Luisa Kurtz presenta qualche difficoltà nell’affrontare le agilità della prima aria, Furie di donna irata, sottile caricatura delle primedonne del Settecento, mentre si trova a suo agio nella terza, Sento che il cor mi dice, dai toni decisamente elegiaci. Sara Fanin è Armidoro dalla voce ingolata, ma agile negli abbellimenti e nelle colorature. Il marchese di Diego Rossetto risente della voce priva di spessore, limitata nell’acuto e dal timbro poco convincente.
Bravissime le comparse Arianna Addonizio, Alexandra Foffano, Sara Fogagnolo, Carla Gagliotta, Adriana Laespada, Alvise Zambon, Tommaso Zambon, Marco Blezza, Zhengji Han, Lucas Lopes Pereira.
Al termine della recita del 17 dicembre, il folto pubblico tributa consensi calorosi per tutti.
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La Cecchina ossia La buona figliuola
Dramma giocoso in tre atti
Libretto di Carlo Goldoni dal romanzo Pamela, or Virtue Rewarded di Samuel Richardson
Musica di Niccolò Piccinni
Nuova trascrizione da fonti originali di Carlo Steno Rossi
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Personaggi e interpreti:
Cecchina, fioraia: Elisa Verzier
Il marchese della Conchiglia: Diego Rossetto
La marchesa Lucinda: Luisa Kurtz
Il cavaliere Armidoro: Sara Fanin
Sandrina, cameriera: Arianna Cimolin
Tagliaferro, corazziere tedesco: Lu Yaxiang
Mengotto, servitore: Michele Soldo
Paoluccia, cameriera: Jingchao Wu
Un clochard: Martin Ruis
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Direttore e concertatore al cembalo: Eddi De Nadai
Regia: Martin Ruis
Scene: Massimo Checchetto
Costumi: Carlos Tieppo
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Disegno luci: Roberto Gritti
Ensemble Benedetto Marcello
Coproduzione tra OperaStudio del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia e Teatri e Umanesimo Latino SpA