È proprio il caso di dire “a volte ritornano” per introdurre lo spettacolo riproposto dopo vent’anni nella versione originale diretta da Luca Ronconi. Medea torna sul palcoscenico con il riallestimento di Daniele Salvo e l’istrionico Franco Branciaroli, interprete già nel 1996 di uno spettacolo che era destinato a diventare uno dei capisaldi registici e interpretativi nell’immaginario storico del teatro italiano di fine secolo.
Prodotto dal Centro Teatrale Bresciano insieme al Teatro de Gli Incamminati e al Piccolo Teatro di Milano, lo spettacolo vuole essere un omaggio al grande Maestro Luca Ronconi, scomparso nel 2015. Il suo sodalizio con Franco Branciaroli era noto ai più attraverso le interpretazioni esemplari di Prometeo incatenato, Lolita o La vita è sogno.
A reinterpretare il ruolo dell’eroina greca dopo più di vent’anni quindi l’attore Franco Branciaroli, con alle spalle un cinquantennio di onorata carriera teatrale. Medea in questo spettacolo non ha sesso: Branciaroli non interpreta un ruolo femminile, ma veste i panni di un personaggio dalle dichiarate connotazioni maschili. Scelta stilistica che vuole fortemente distogliere l’attenzione dal sesso del personaggio: Medea è semplicemente un “mostro”, attua una vendetta diabolica in virtù dei torti subiti, venendo qui spogliata di ogni straccio di umanità. Come afferma lo stesso Branciaroli, “Medea è un mito che rappresenta la ferocia della forza distruttrice”.
Quando si mettono in scena le tragedie greche solitamente si cerca di rendere visibili i collegamenti con l’oggi attualizzando comportamenti dei personaggi, tematiche e fini. In questo spettacolo si assiste invece ad un’operazione in controtendenza: intento di Ronconi era quello di aprire un ampio “varco” di differenze tra il mito e l’epoca contemporanea. Unico filo conduttore tra i millenni di distanza è il linguaggio. Le parole di Euripide si scagliano come fulmini a ciel sereno pronunciate da Branciaroli, che ne coglie le sfumature e ne sottolinea la componente onomatopeica. Il coro delle donne di Corinto “mastica” le parole come fiumi in piena creando sapienti giochi ritmici e armonizzazioni divise tra momenti monologanti e momenti per l’appunto corali.
Non c’è traccia dell’antica Grecia nelle scene di Francesco Calcagnini riprese da Antonella Conte, né nei costumi di Jacques Reynaud ripresi da Gianluca Sbicca. L’ambientazione potrebbe essere un cinema dismesso composto da qualche fila di sedie, due schermi sui quali vengono proiettate immagini e una scala di legno che sale fino al cielo, dalla quale salgono e scendono le figure “di potere” della tragedia. Scala che viene preclusa a Medea che agisce per lo più sul proscenio, muovendosi come un’animale in gabbia circondata dalle donne di Corinto che la consigliano, la assistono e la aiutano vestite da donne di servizio, lavando, spolverando e cucinando. Medea stessa è rappresentata nella quotidianità di alcune faccende domestiche e il progetto dell’atroce vendetta ai danni dei suoi bambini viene genialmente da lei progettato mentre pela le patate in una pentola. Elementi stranianti come i costumi anni ’60 dei personaggi, che fungono da collante tra i diversi linguaggi scenici presenti nello spettacolo.
Superba e doppiamente degna di nota l’interpretazione di Franco Branciaroli, forte di una lunga carriera stellare che gli consente di mettere in scena un personaggio senza tempo con una varietà di registri vocali e di cambi interpretativi eccezionale.