Quando ho iniziato la lettura dei pensieri sparsi di Paola Nicoletti, dal titolo emblematico a me oscuro, mi riproponevo di sottolineare i passaggi più significativi, le espressioni più intense e curiose di un vademecum fatto di capitoli che, dato il tema, inevitabilmente avrebbero catturato il mio interesse. Ulteriore, più inquietante pensiero, era quello di consegnare da ultimo le mie riflessioni ad una pubblicazione densa di incognite, considerando l’inevitabile confronto con i commenti di illustri redattori che mi hanno preceduto. Sarebbero bastate poche righe per farmi ricredere sul primo punto e convincermi che quel libello non aveva bisogno di simili premure perché il suo essere sottile custodiva una essenzialità necessaria che non prevedeva sottrazione alcuna, tanto meno frettolose visioni di insieme. Quelle righe diventano ben presto ai miei occhi perle di saggezza da assumere in piccole dosi e mi accompagneranno ogni sera, per varie sere. Quello che non avevo previsto, da inconfessato narciso e a parziale giustificazione, non conoscendo le doti letterarie dell’autrice, è che, a traguardo raggiunto, avrei incassato inopinata una sonora lezione di stile oltreché di ammaestramento esemplare. ‘Raccontami il mare che hai dentro’ è un racconto non convenzionale, accurato e bizzarro; nulla è superfluo o lasciato al caso. La narrazione, priva di sbavature, scivola via vibrante e suggestiva, lucida e puntuale, lieve e profonda, incisiva e a tratti sferzante; contrasta e stride con l’imprevedibilità di una esistenza speciale eppur comune, intesa come un dono fecondo pieno di sorprese e di scoperte inesauribili, dove l’ordinario non è mai cadenzato ma spesso sovvertito e il quotidiano è un fremito avvolgente che non concede tregua né consente indugi, pena l’esserne travolti senza scampo. Avere un figlio autistico è non poterne mai fare a meno, è come intraprendere un viaggio avventuroso pieno di insidie e di mete fantastiche e inesplorate senza avere l’opportunità di scendere per sgranchirsi le gambe, di chiedere la sostituzione per overdose da stress. Avere un figlio autistico vuol dire dover imparare in fretta e bene. È impossibile annoiarsi ma è consigliabile intensificare la creatività naturalmente stimolata, moderare ogni reazione avversa senza fare eccessivo ricorso a teoremi complicati salvavita che rischierebbero di devastare ancor più la già fragile, compromessa esistenza per cui stai lottando. Sarà questo sempre e comunque per Paola, mamma di Gabriele, il provvidenziale alert da tenere a mente per scongiurare rischi collaterali. Documentarsi, apprendere l’arte con tutti i difetti e metterla da parte, personalizzare ogni applicazione seguendo l’istinto dell’affetto che non ti può abbandonare. L’autrice inaugura un modo inedito di rappresentare la propria storia personale e lo fa intensamente, con sincerità e senza falsi pudori, adottando un linguaggio figurato confidenziale ed efficace, ricco di sonorità, privo di orpelli e a tratti aulico, inaccessibile ai puristi. La sua è una narrazione garbata e rispettosa sempre, equilibrata e garantista oltremodo, energica all’occorrenza; aliena negli intenti e nei contenuti da ogni protervia o condanna. Suggerisce e propone, scava all’interno della sua multiforme esperienza per comunicarla di slancio a chi l’attendeva da tempo. Il dramma vissuto senza imbarazzo, con l’audace stravaganza di chi non ha nulla da perdere perché ha testato ogni modello delineato di strategie, ha confrontato ogni stereotipo consolidato; per questo ne deve inventare di nuovi, primordiali forse ma efficaci. L’obiettivo è alto e nobile: difendere con i denti il diritto naturale del suo bel cucciolo diventato uomo, allontanarlo dai pericoli che non può avvertire, promuovere la dignità di chi non sa naturalmente farlo. ‘Raccontami il mare che hai dentro’ è un libro di cui occorrerà accorgersi, non nasconde ma amplifica, traccia la strada che altri potranno percorrere; si rivolge a chi vive la medesima condizione o semplicemente a chi vorrà far tesoro di un fardello messo a disposizione come patrimonio di varia umanità. È un richiamo per chi ogni giorno affronta il mare tempestoso di un’esistenza scomoda e complicata come quel figlio all’improvviso, è l’ approdo luminoso che accoglie il navigante quando la fatica del vivere lo ha ormai abbandonato. È ringraziamento e benedizione estesa a chi, in condizioni spesso precarie, ha profuso energie oltre ogni limite. È un contributo letterario’, storico e sociale prezioso per affrontare e facilitare la conoscenza dell’autismo … Si amano i figli sbagliati…i figli forzati…I figli si amano sempre e comunque…perché L’amore delle madri è animale, assoluto e incondizionato. Sanno tirar fuori dal dolore doti insospettate scovando negli abissi più cupi. L’amore dei padri è diverso, è un diesel rabbioso, spesso fumoso, restio a cambiamenti repentini. I padri privilegiano un atteggiamento di autodifesa, quasi mai pronto alla competizione che valga il momento; danno il meglio di sé dopo laboriosa assimilazione. Paola, con grande spirito e, aggiungo io, benevolenza infinita, adombra l’ipotesi che ai padri manchi… l’enzima dell’accettazione invece donato a noi mamme. Umberto, superato, il trauma da rifiuto preventivo, diventerà il più presente dei padri. L’attesa di un figlio è come le altre, eppure espande un profumo diverso; la confusione dopo la sorpresa e l’orgoglio del maschio, la partecipazione gioiosa delle sorelline avrebbero predisposto tutta la famiglia ad un evento unico e memorabile. Il diario che racchiude gli appunti e le foto raccontando ‘i giorni dell’amore che cresce’ avrà in seguito il valore di testimonianza di un percorso alternativo e ‘disordinato’. I primi segnali, la diagnosi infausta e senza appello, l’inganno come un tradimento divino cedono il passo alla determinazione e al riscatto che necessariamente seguirà allo studio sul campo domestico del fenomeno e delle annesse infinite variabili. Gli incubi, come gli episodi di ostinata resistenza che sfiancherebbero il più paziente dei mortali, non si manifestano mai secondo frequenze o modalità più o meno definite. Quando poi incontrano l’indifferenza o, peggio, la becera insulsa presenza di soggetti nefasti, vicini di casa, figli superviziati o sanitari insensibili e arroganti, non resta che affidarsi alla residua forza che non sospetti e a volte liberare le lacrime. In proposito, lo sketch di Winnie the Pooh a via Cola di Rienzo non avrebbe saputo interpretarlo meglio nemmeno Sterling Holloway. Deliziosa, inesauribile, paradossale Paola! Un misto di ironia e saggezza proverbiale. Per fortuna esistono gli angeli e hanno tanti volti, si chiamano Lionello e prima di ogni altro Doina, e poi i medici, gli operatori e i terapisti straordinari, le maestre delle elementari. Quei compagni di classe, che fanno il pari con altri scavezzacollo, banalizzano ogni archetipo della peggior normalità e alla festa del 18^ compleanno decidono di esserci; è il più bel regalo, simboli, loro, di speranza per l’intera umanità. Ci sono le sorelle, due amorevoli molossi a protezione di un cucciolo gigante indifeso: Giorgia, poco espansiva, quasi medico oggi, taciturna e attenta ai particolari, e Marzia, pressoché coetanea di Lillo, un furetto intransigente privo di soggezione alcuna. C’è la sessualità fraintesa, quella disattesa, incompiuta, frutto acerbo e confuso di un malessere magmatico che genera corto circuito e rompe gli argini. Il terrore di perderlo, pensando ai rari momenti in cui Lillo potrebbe smarrirsi, lui che non sa dire il suo nome. Soprattutto la paura del domani, di un domani nebuloso che va preparato con cura. Ma come? Chi lo accarezzerà quando è impaurito, chi lo stringerà forte durante una crisi? Non si è mai pronti a lasciare i nostri figli, a nessuna età, ma così…Sentimenti contrastanti e rabbia per le troppe incongruenze e i ritardi nei provvedimenti sistematici, nelle iniziative di ampio respiro non più rinviabili. L’atteggiamento dell’autrice è giustamente severo, mai intransigente, quando doverosamente adombra riserve sacrosante verso l’approccio scientifico all’autismo, ancora frammentario, che sconta l’assenza di una interdisciplinarità accettabile, lontano dall’essere rigorosa. L’accenno ai vaccini, al ruolo fondamentale che svolgono e ai possibili incidenti rivela grande attenzione e rispetto verso la ricerca scientifica. Il suo è un libro che vale più di qualsiasi testo sacro perché in questo mondo ogni fede, mistica o razionale che sia, è soggetta a revisione. Le verità inoppugnabili sono aride e dispersive, inopportune spesso e a volte dannose e contraddittorie. Non sono in grado di infondere l’arte della divinazione in chi ha urgenza di liberare energie positive dopo il verdetto, mentre l’unica risorsa che si ha a disposizione è quella di spalancare le porte del cuore. Ma non può bastare. Viviamo in una società ancora governata da pregiudizi e da strisciante, ipocrita indifferenza, dove l’improvvisazione nell’affrontare le necessità primarie è consuetudine imbarazzante e gli aiuti affidati troppo spesso alle iniziative degli angeli della collaborazione solidale. È un mondo in fermento che attrae di tutto, specialisti dell’incompetenza come professionisti seri, magari inesperti o non supportati da strutture efficienti. E poi ci sono le famiglie che si interrogano e si arrangiano. C’è da colmare il gap della scuola, disorganizzata e inadeguata, occorre dare agli insegnanti di sostegno la formazione che il ruolo comporta azzerando il fai da te. E poi, fondamentale e connesso a quest’ultimo aspetto, manca in questo paese una educazione alla comprensione e all’accettazione di ogni forma di espressione diversa, degenerativa e ‘originale’, degna di una democrazia avanzata che elevi la soglia di cultura favorendo naturalmente quella di tolleranza. Una persona che evita il diverso fugge dalle proprie responsabilità elevando, oltreché muri mentali socialmente dannosi, la propria soglia di ignoranza; in buona sostanza emargina se stesso. L’accoglienza, dice Paola, è un dono che non dipende dalla volontà, si può avere o non avere, ma, aggiungo, il rispetto e la dignità, segnatamente quando interessano le fasce più deboli, non possono, non devono essere discrezionali e la condivisione di regole comuni prescinde dalla personale soglia di sensibilità. Riporto integralmente una osservazione che non è affatto ‘una sfumatura’, per dirla con Paola, ma chiave di volta luminosa, metafora della vita contro ogni discriminazione; superbo, sconfinato esempio di umanità e saggezza impartito da chi non ha voce, confronto impari tra due universi paralleli: Gabriele sa come mettere in crisi chi lo circonda, riesce a mettere le persone davanti a se stesse, ai loro limiti, al loro essere piccole; sconvolge gli ordini precostituiti, manda in tilt le persone incastrate nelle loro abitudini, nelle loro regole. E io credo che una bella scossa, ogni tanto, a queste mummie farebbe bene.
Il lettore, e con lui chi scrive, si nutre d’amore penetrante e protettivo sin dai versi dell’incipit colorato e malinconico, libero e represso come incerto volo. Trasportato in un’alternanza di sentimenti inebriante, viene rapito infine dalla tenera elegia che chiude il cerchio di un percorso ad ostacoli travolgente: è il ritorno al mare che inghiotte ogni anelito e custodisce i segreti. L’acqua limpida e pura dissolve ogni trepidazione e rasserena. L’attesa si compie e rende così ragione di quella accorata richiesta di presentazione con cui la madre supplichevole reclama, nel buio luminoso di ogni sguardo, il più insopprimibile dei desideri, le risposte agli interrogativi che quel figlio adorato non potrà esaudire. La descrizione che Paola fa del vuoto come mancanza di corresponsione, come rifiuto immotivato e sordo, è la consapevolezza raggiunta, oltre l’incredulità, oltre i sensi di colpa, oltre i dubbi e i pensieri a ritroso, il lamento inconsolato e fiero di una madre che non si piega di fronte al ‘nulla pieno di tutto’. Di fronte al muro d’ombra, all’apparente distacco e all’ingannevole isolamento di quegli occhi filiali, si nasconde un profondo desiderio di essere compresi e una miniera d’amore da dare. È, quella di Paola, un’emozione che vale una vita esaltante, la sua, che trasfigura il dolore estremo per il suo Gabriele in un atto di sublimazione struggente, tenero, intriso di misericordia e amore che, non precludendo la speranza, se ne avvale con rinnovato vigore. Madre atterrita e disorientata eppure intrepida e mai doma nel proposito di condividere pienamente le angosce e lenire le paure di fronte al mistero, che non può attraversare, del dramma più grande.