Liberamente tratto da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile
di Emma Dante
regia, elementi scenici e costumi Emma Dante
interpeti Salvatore d’Onofrio, Carmine Maringola
luci Cristian Zucaro
produzione Festival di Spoleto 60/Teatro Biondo di Palermo in collaborazione con Atto Unico/ Compagnia Sud Costa Occidentale
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
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Due “segiulelle”, un castello in miniatura. Buio, luce. Due attori. Una porta, una coroncina di stoffa. Bastano questi elementi a catapultare lo spettatore, incantato, dalla realtà della rappresentazione alla storia che i due attori raccontano, anche grazie all’uso del dialetto e di una gestualità/corporeità eccezionali, perché definirli teatrali non sarebbe esaustivo.
Passiamo continuamente dal piano del racconto a quello dell’immedesimazione coi personaggi che ne fanno parte (infatti ai soli due attori sono affidati tutti i personaggi della storia, anche le protagoniste femminili, come nella tradizione del teatro settecentesco); così assistiamo alla drammatizzazione di una storia che forse ha come tema quello della bellezza e della giovinezza, da perseguire ad ogni costo, contrapposte alla vecchiaia e alla bruttezza, da insultare e disprezzare; una storia che, forse, ha più di una morale: chi utilizzi ogni mezzo per raggiungere le sopracitate virtù sarà premiato con un pizzico di magia, ma se quest’ultima non esiste, e ci resta solo la nostra realtà, ogni mezzo è lecito per raggiungere i propri scopi, anzi la propria fine. Ma questa rappresentazione, che sfrutta appieno i linguaggi del teatro e la potenza della presenza in scena, probabilmente non ha bisogno di nessuna morale per essere goduta.
Più di una persona potrà facilmente riconoscersi nel controverso rapporto che mettono in atto le due sorelle: un legame tanto grande da non potersi più sopportare, un’interdipendenza che sembra necessaria fino a quando si arriva a volersela scorticare via dalla pelle. Una storia, dunque, che riesce a mescolare la verità del quotidiano con la saggezza dei racconti popolari, fino a creare una nuova realtà, dove non importa a nessuno se due uomini possono interpretare, insieme, vecchie, re e fate, o se i confini tra la leggerezza della fantasia e la crudezza del finale sono labili, se non capiamo ogni segmento di ciò che ci stanno raccontando, se il napoletano non è la nostra lingua e non possiamo coglierne ogni sfumatura, perché ci stiamo emozionando, e il teatro può fare anche questo: emozionare.
Un’ora particolarmente densa e intensa.