Il Teatro Libero Palermo festeggia cinquant’anni di vita e lo fa portando in scena un’autrice come Caryl Churchill, una delle esponenti di punta della drammaturgia inglese contemporanea. La scelta del testo segnala di per sé la presenza di una linea di ricerca piuttosto precisa da parte del regista Luca Mazzone. “A Number” è infatti un testo della produzione più matura di Caryl Churchill, nota al pubblico più vasto per lavori diversi sia in termini di datazione che per contenuti.
Il segno distintivo di “A Number” è senza dubbio l’impronta maschile del dramma, incentrato sul confronto seriale tra un padre e ciascuno dei suoi figli, tutti maschi e tutti identici, almeno a prima vista, dato che sono stati generati tramite clonazione in vitro. Churchill ambienta la vicenda in un contesto distopico ma non fantascientifico e neppure futuribile, bensì tecnicamente plausibile nel presente grazie ai raggiungimenti dell’ingegneria genetica.
Il tutto in scena crea una situazione drammaturgica decisamente carica ma sostanzialmente epica, dove il plot si dispiega progressivamente all’indietro, secondo le modalità che contraddistinguono il “giallo”. I singoli frammenti di rivelazione che scaturiscono da ogni singolo dialogo si accumulano come tessere che ricompongono laboriosamente il mosaico della verità. Ed i dialoghi vengono così ad incamerare la tensione spietata del confronto, che talvolta si fa quasi esplicitamente fisico. Il fluire dell’azione si spezza con ritmicità singhiozzante in una serialità “clonata” di scene rigorosamente “a due”, che si susseguono come ritorni di apparenti dejà vu.
Sul piano più squisitamente scenico, un tale meccanismo drammaturgico assicura una solida coerenza stilistica e semantica, ma rischia contemporaneamente di zavorrare l’andamento dello spettacolo sul terreno della fissità. Il tutto sembra rientrare in un pericolo calcolato – e persino ricercato – da un piano di regia asciutto fino agli estremi della sottrazione: il disegno scenografico traccia il perimetro di un non-luogo che irradia la luce dell’universalità (di tempo e di luogo) sulla superficie di un rettangolo bianco dalla nettezza clinica, sottolineato da luci di scena “a vista”. Una grande sedia di legno – immancabilmente bianca – costituisce l’unico elemento fisico che si frappone tra i corpi dei due attori, condizionando la dinamica della recitazione ed instradandola verso le forme di una danza dell’immobilità (dai rimandi prossemici vagamente “psicanalitici”). L’assenza dominante di azione vera e propria disarticola l’espressione, che viene fotografata nello stadio involuto del balbettamento e dell’implosione.
Tuttavia, il risultato principale della regia minimale dosata da Luca Mazzone sta nel conferire centralità proprio alla parola, liberata dalla concorrenza prodotta dalla presenza di ogni altro elemento scenico distraente ed esposta in tutta la sua impotenza, in tutto il suo limite organico, eppure riscoperta nella sua funzione di strumento unico ed ultimo per la comprensione della realtà.
Perché “A Number” è un testo per certi versi classico, che poggia sul concetto spesso demodé di teatro come luogo (e linguaggio) deputato al dibattito su questioni sociali ed etiche. Il testo, ricco di frasi spezzate ed accenni – secondo un concerto di understatement tipicamente british – pone sfide continue al lavoro dei due attori in scena, Giuseppe Pestillo e Massimo Rigo, ma l’alchimia peculiare dello spettacolo produce un effetto distanziatorio, per cui è proprio il dramma dei personaggi a non farsi mai tangibile, isolando lo spettatore in una condizione lucida e straniata, mai coinvolta sul territorio dell’empatia o della pietà umana.
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CREDITS
“A NUMBER”
testo: Caryl Churchill
traduzione italiana: Monica Capuani
scena e regia: Luca Mazzone
con Giuseppe Pestillo e Massimo Rigo
costumi: Lia Chiappara
disegno luci: Mario Villano
produzione: Teatro Libero Palermo (Centro di Produzione Teatrale)