«Ogni epoca ha un paio di libri, non di più, che la riassumono completamente. Al punto tale da esserne una sorta di catalogo. Il Novecento è L’Interpretazione dei sogni di Freud». Così Stefano Massini, autore di questo spettacolo in cartellone al Piccolo, riassume il suo copione.
Certo, Freud è molto più che un uomo del ‘900, perché, in fondo, noi, seduti in platea, non siamo così diversi dai pazienti che appaiono sul palco, entrando ed uscendo da una serie di porte che sembrano essere dei passaggi metafisici verso l’inconscio.
A scanso di equivoci diremo che questo spettacolo ha due peccati capitali: il primo è la prolissità, soprattutto del primo atto, che si adagia forse troppo sui monologhi del protagonista. Il secondo è l’esasperazione drammatica, che il regista Federico Tiezzi ha imposto agli attori, in particolare al protagonista.
Se siete disposti a perdonare questi peccati, però, lo spettacolo è magnifico.
Nella forma, nella sostanza, ma soprattutto nel contenuto. La visione dei sogni come metafora quasi poetica, che piano piano si dipana nella formulazione scientifica, la comprensione del significato profondo sotteso che arriva gradualmente, il contenuto stesso dell’opera di Freud, vengono trattati magistralmente.
In scena si alternano l’uomo e lo scienziato, in una soluzione di continuità perfettamente riuscita: il primo cerca, attraverso la comprensione dei suoi pazienti, di comprendere anche sé stesso; il secondo, invece, è quello che meglio conosciamo dai libri di scuola, il padre della psicanalisi.
Eppure la bellezza di questo spettacolo sta proprio nell’aver trasformato il mito in uomo, fornendo al pubblico una figura nella quale si può identificare e grazie alla quale può riflettere sulla propria vita, sulle proprie esperienze, sul significato profondo delle cose.
Insomma, se è possibile mettere in scena un’opera così complessa come quella di Freud, questo è forse quanto di più profondo e profondamente teatrale se ne può ottenere. Si tratta non di un adattamento, ma piuttosto di un assembramento di vari pezzi, tratti soprattuto soprattutto dall’Introduzione alla psicoanalisi, che diventano teatro, con un sapore vagamente cinematografico.
Le scene di Marco Rossi e i costumi di Gianluca Sbicca lavorano in unisono perfetto al risultato finale, ineccepibile anche dal punto di vista estetico. Con i figuranti che entrano in scena indossando maschere animali, le scritte al neon: cose da performance di arti visive ad altissimo livello.
Gli attori in scena sono tutti di altissimo livello, anche se Fabrizio Gifuni, nel ruolo di Freud, come anticipato, e nonostante l’indubbia bravura, ci è sembrato forse troppo sopra le righe.
Insomma, uno spettacolo forse non per tutti, ma senza dubbio di grandissimo valore estetico, letterario, filosofico, insomma: da vedere.