di Robin Maugham
Traduzione di Lorenzo Pavolini
con (in ordine di apparizione)
Tony Laudadio (Richard Merton)
Emilia Scarpati Fanetti (Sally Grant)
Andrea Renzi (Tony Williams)
Lino Musella (LesBarrett)
Maria Laila Fernandez (Vera/Mabel)
Regia Andrea Renzi, Pierpaolo Sepe
Scene Francesco Ghisu
Costumi Annapaola Brancia d’Apricena
Disegno luci Cesare Accetta
Aiuto regia: Luisa Corcione, Simone Giustinelli
Aiuto scenografo: Christina Psoni
Sarta di scena: Federica Amato
Fotografa e assistente luci Laura Micciarelli
Produzione Napoli Teatro Festival Italia (NTFI) \ Casa del Contemporaneo-Centro di Produzione \ Teatri Uniti \ Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale
———-
Di grande impatto visivo la scena iniziale. Un gigantesco finestrone occupa la centralità.
Un uomo di spalle avanza lentamente dal proscenio al fondo, passo dopo passo verso un divano su cui dorme scompostamente un uomo. Il gioco di luci taglia nettamente gli spazi.
La musica aumenta di volume fino a diventare assordante.
Il sipario si chiude e nella frazione di un momento si riapre.
La quarta parete è lì ed il pubblico è contagiato dalla curiosità che lo spinge all’attesa. L’atmosfera si carica di vibrazioni impalpabili ma sostanziose: una leggera perversione si annuncia.
E forse è già tutto chiaro. I personaggi chiave sono loro: uno in piedi che avanza e l’altro sdraiato che rinuncia. L’eterno gioco della vittima e del carnefice in un subdolo ribaltamento di ruoli che si incastrano torbidamente interdipendenti. Il servo e il padrone, che diventa servo del suo servo, incatenato da lacci emotivamente devastanti e prigioniero di una ragnatela tessuta maleficamente con il richiamo erotico del sesso e della confortante protezione, placenta accogliente ed ovattata che lascia fuori tutto ciò che può essere “faticoso”. Giochi perversi, bugie e sotterfugi, premure che diventano dipendenza: le tecniche della seduzione sono ipnoticamente e copiosamente utilizzate da un uomo che facilmente risulta odioso nel ruolo subalterno e viscido del servo che per rendersi indispensabile non esita a manipolare la fragilità del padrone reso fiacco dalla morbidezza degli agi.
*“Il servo” è un romanzo breve di Robin Maugham, testo noto per la trasposizione cinematografica di Joseph Losey del 1963 con la sceneggiatura di Harold Pinter.
Quando nel 1948, fu dato alle stampe e distribuito nelle librerie inglesi, fu considerato “un piccolo capolavoro di abiezione”, mentre la critica aveva riconosciuto al giovane scrittore un talento di narratore pari a quello dello zio, il grande Somerset Maugham.*
Pochi elementi di arredo, un carrello per i liquori, una lampada, un giradischi si aggiungono al divano a completare il salone, mentre nei laterali vengono sospinti in avanti e indietro, a seconda delle necessità d’azione, un lettone e un tavolo con sedie su pedane. La scena è ben delineata nei vari ambienti che sottintendono la vastità e la separazione di una casa borghese della Londra conformista. La cucina è in basso ed è il luogo da cui il servo può emanare il suo dominio fino ai piani superiori, alla camera da letto del padrone ,e alla conquista, anche territoriale dell’intera casa.
Un terzo uomo (un misurato ed elegante Tony Laudadio) amico del padrone di casa tenta in ogni modo di arginare la deriva e la caduta rovinosa del giovane, che pur di scrollarsi di dosso ogni pensiero e preoccupazione delega decisioni e scelte al suo “servo”.
Dal detto popolare “Scarpe grosse e cervello fino” si evince la triste verità. Di necessità virtù, il servo si fa compitamente sempre più umile e servile ed approfittando della raggiunta influenza introduce nella casa la sua giovane amante che, come nelle più conclamate vicende, seduce il padrone.
Una malinconica rassegnazione fa da preludio all’inevitabile mortificazione del giovane perduto nella morbidezza deviante del confortevole abbraccio “mortale” del suo servo diventato padrone della sua casa e della sua anima.
“Dominio psicologico” esercitato con freddezza e precisione chirurgica da un cerimonioso e subdolo Lino Musella, perfetto nel suo ruolo e “Resa incondizionata” di Andrea Renzi, ottimo interprete, convincente ed espressivo in ogni sfumatura del progressivo cedimento alla malevola influenza del Vizio personificato nelle tentacolari spire della morbosità sessuale, inebetito dalla dipendenza dell’alcool.
Le due donne rappresentano in maniera esemplare la due facce della femminilità: entrambe giovani e belle sono divise dalla classe sociale e dai comportamenti che ne derivano.
La fidanzata Sally (la bella e brava Emilia Scarpati Fanetti) e la serva-amante, (la voluttuosa Maria Laila Fernandez), due donne specchio della sensualità repressa o manifesta.
Effluvi di ambiguità e perversione latente costringono la fidanzata ad abbandonare Tony, il giovane avvocato, vittima inerme e consenziente alla voracità della servitù.
Borghesia polverosa divorata e vomitata da una democrazia affamata di potere.
Il perverso triangolo lascia ben poche speranze, anzi nessuna, al rinsavimento del giovane avvocato che non riuscirà a sfuggire alle grinfie dell’avida sete di rivalsa del servo uscito dal fango dei bassifondi resi evidenti dalla democrazia che storicamente ha soppiantato la classe borghese ormai sfiancata e consumata dal ristagno di classe.
«L’idea di metterlo in scena è venuta a Sepe: è nata dall’amore per quel film che Losey realizzò negli anni Sessanta, che ha ancora e conserva un segno fortissimo e che in qualche modo illumina sia il romanzo che il testo teatrale che è stato scritto dieci anni dopo e molto raramente rappresentato. – cosi racconta Andrea Renzi – Ed è proprio la luce che Losey e Pinter hanno puntato sulla scrittura di Maugham ad aver acceso il nostro interesse e a proiettarlo fino a noi».
La regia asciutta e lineare ha ben dosato le ambiguità dei ruoli di ciascun interprete.
Applausi a fine spettacolo.