L’otto febbraio ha debuttato al TAU di Cosenza “Il sindaco del rione Sanità”, il celebre testo di De Filippo curato dal regista Martone.
La produzione è di Elledieffe / NEST Napoli Est Teatro / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale.
Mario Martone per la prima volta dirige un testo di Eduardo De Filippo con un cast che comprende anche attori di Nest “teatro di periferia e sfide”. La messa in scena è co-prodotta da Elledieffe e Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale insieme al Nest – Napoli Est Teatro di San Giovanni a Teduccio, fondato da un gruppo di giovani artisti che hanno creato uno spazio per le arti in uno dei quartieri più difficili di Napoli. In premessa c’è la realtà di San Giovanni a Teduccio, del NEST e dei suoi giovani attori, molti dei quali vivono nel quotidiano la cronaca non edulcorata di una vera guerra di camorra che insanguina da anni questa periferia napoletana e dove la criminalità è retta da giovani boss neanche trentenni.
«Il teatro è vivo quando s’interroga sulla realtà», ha raccontato Martone, «se parla al proprio pubblico non solo osando sul piano formale ma anche agendo in una dimensione politica». Non è quindi un caso neanche la scelta dei partner coinvolti. Il NEST nasce in uno dei quartieri più popolari e difficili di Napoli e proprio in questo scenario un gruppo di giovani, attori, registi, scenografi e drammaturghi hanno ristrutturato una palestra e creato uno spazio per le arti laddove negli anni Ottanta c’era un morto di camorra al giorno e dove la criminalità organizzata ha visto alternarsi al comando negli ultimi anni diversi boss tra i venti e i trent’anni.
Il sindaco del Rione Sanità è quindi calato nella realtà dei giorni nostri. L’idea di affidare il ruolo del Sindaco a un uomo giovane e deciso – quando il personaggio scritto da Eduardo era invece in età avanzata – pone la figura del protagonista ancora al centro del sistema criminale che rappresenta, laddove la scrittura eduardiana ne faceva il simbolo di un sistema di valori e disvalori al tramonto, ed allo stesso tempo incarna il testo in un mondo reale drammaticamente vivo.
Il protagonista della commedia, Antonio Barracano (Francesco Di Leva), amministra le vicende del rione come un “uomo d’onore”, in un ribaltamento del sistema legalitario, che distingue tra “gente per bene e gente carogna”. “Chi tiene santi va in Paradiso e chi non ne tiene va da Don Antonio, è così da sempre”.
A leggere oggi “Il sindaco del Rione Sanità”, a quasi sessant’anni dalla prima messinscena eduardiana, saltano immediatamente agli occhi due questioni decisive. La prima è praticamente ovvia, l’opera di Eduardo è ancora oggi in grado di parlare con immediatezza delle tensioni e contraddizioni che attraversano la società. La seconda è relativa a una precisa particolarità della forma che invece nella scrittura drammatica di oggi non trova spazio: l’autore usa le didascalie come veri e propri inserti narrativi; le descrizioni delle azioni che dovrebbero svolgersi sul palco sono accurate fin nei particolari e ad alcuni passaggi De Filippo dedica interi paragrafi, piccole finestre sulla forma romanzo.
L’entrata in scena del protagonista, Antonio Barracano, è emblematica; ecco come nella lunga didascalia viene presentato nel testo: «I settantacinque anni dell’uomo sono invidiabili: è alto di statura, sano, asciutto, nerboruto. La schiena inarcata gli conferisce un’andatura regale». Mario Martone invece opta per un attore neanche quarantenne (Francesco di Leva), scelta che come vedremo avrà diverse conseguenze.
Una storia, quella del Sindaco, che oggi facilmente archivieremmo come una vicenda di Camorra. E non sarebbe una lettura completamente errata, d’altronde la pièce comincia in medias res per cui un interno borghese ai piedi del Vesuvio si trasforma durante la notte in una sala operatoria. Due individui, colpi di pistola e un medico pronto a ricucire il malcapitato. Se il testo si riferisce a un’altra zona “difficile” di Napoli, la Sanità appunto, San Giovanni a Teduccio (dove è situata la sala) compare però tra le prime righe come zona della sparatoria avvenuta per futili motivi. L’attualizzazione operata da Martone mostra subito le proprie carte, l’uomo ferito è un rapper, agghindato da vero mc. Il lusso della casa di Terzigno, nella quale il Sindaco riceve e lavora è idealizzato attraverso l’uso di un pavimento trasparente, come trasparenti sono anche le sedie, da un divano in pelle nero, una ringhiera che delimita il palco e una porta in ferro sul fondo. Antonio Barracano fa il proprio ingresso in tuta nera con cappuccio, è un boss quarantenne, con i muscoli tonici e depilati; mentre parla si mantiene in allenamento con una panca per addominali. Ora, dato che si tratta di adattamento e non di riscrittura l’obiettivo è quello di rispettare il testo, Barracano allora è un giovane padre affettuoso, marito innamorato di una provocante Armida. I figli che nella drammaturgia originale hanno ormai un’età adulta qui sono tardoadolescenti o bambini.
D’altronde è proprio il tema della famiglia ad alimentare il plot: Antonio ama talmente i suoi figli tanto da dividere interamente i suoi beni con loro mentre è ancora in vita, ma proprio nel risolvere una contesa familiare si spegnerà la sua parabola.
Qui forse sta il punto di sutura più delicato e fragile tra la scrittura di Eduardo e la messinscena del Nest: l’unica motivazione a cui può appellarsi Antonio una volta accoltellato, per rifiutare di lasciarsi accompagnare in ospedale, è proprio quello sconfinato amore per la famiglia. La paura di ritorsioni verso i figli gli impedisce di farsi curare e sporgere denuncia almeno contro ignoti. Il protagonista immaginato da Eduardo invece porta con sé il fardello di una vita intera passata attraverso l’esercizio logorante del potere. Allora quel lasciarsi morire del finale non è solo un sacrificio ma anche una liberazione, come se quel «girare a vuoto» di cui parla Fabio, il professore, in realtà sia stato sempre ben chiaro anche al Sindaco.
Martone sacrifica eleganza, speranza e leggerezza per calare la vicenda nell’inferno di una Gomorra contemporanea, operazione giustificata se serve ad avvicinare i giovani al teatro del più importante drammaturgo napoletano. La scena in cui Barracano viene ferito a morte è agita mentre nell’originale è solo raccontata; ma è soprattutto il finale a chiudere qualsiasi possibilità: quello pensato da Eduardo vede il professore prendere finalmente una decisione scegliendo di scrivere il referto della morte per ferimento e non per «collasso cardiaco» come chiedeva il Sindaco. Lo spettacolo del Nest nega anche questa possibilità, le luci si spengono prima, neanche l’agire in coscienza è una speranza.
Giovane è Di Leva e giovane (ben più di quanto indicato da Eduardo) è buona parte del cast. D’altronde la pièce è ambientata ai giorni nostri perché, come ha spiegato Martone, “il teatro è vivo quando s’interroga sulla realtà se parla al proprio pubblico non solo osando sul piano formale ma anche agendo in una dimensione politica”.
Non è più sontuoso alloggio la villa di Antonio Barracano. Carmine Guarino, scenografo de Il sindaco del Rione Sanità per il Nest-Napoli Teatro Est, l’ha immaginata fredda e dura. Cristalli, plexiglas e acciaio. Prigione di lusso, bunker lontano. Mario Martone ha firmato, con intelligenza lucida e rispetto fedele il suo coraggioso approccio ad un testo da servire con pudore e attenzione, la regia di questo spettacolo prodotto in solida alleanza da Elledieffe, Teatro stabile di Torino e Nest. Bello spettacolo, emozionante oltre ogni attesa e applaudito alla prima napoletana cui farà seguito, a fine mese quella torinese.
Così Eduardo De Filippo continua ad alimentare il teatro dei nostri giorni e le sue commedie, diventate classici da offrire allo studio di chi vi si avvicina con intelligente pudore, hanno voce nuova e inquietante non meno di quella degli anni in cui lui stesso le mise in scena. Così è, e con tutta evidenza per chi ha assistito alla prima de Il sindaco del Rione Sanità.
E quindi commedia civile di ampio respiro profondo. Che oggi si dilata a comprendere urgenze di generazioni disperate. In questa messa in scena che rivoluziona il suo assetto e la sua sintassi affidando ai protagonisti, tanti e bravi, a cominciare da Francesco Di Leva, Massimiliano Gallo e Giovanni Ludeno, la complessità di uno scontro all’interno stesso di una generazione ben lontana da quella eduardiana. Ferita profonda da rappresentare, affidata a un Barracano-Di Leva quarantenne, che ha quindi energia fisica forte, e passione che trasuda dal corpo, illuso che con disperata e candida ferocia, non sa trovare altra strada che la morte.