Questi fantasmi!, capolavoro di Eduardo De Filippo scritto nel 1945, la prima delle sue commedie ad essere rappresentata all’estero, che gli aprì il mercato francese e quello americano, torna a teatro con la Elledieffe, la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, che “continua, nel rigoroso segno di Luca, a rappresentare e proteggere l’immenso patrimonio culturale di una delle più antiche famiglie della tradizione teatrale italiana”, come ricorda Carolina Rosi adesso direttrice della compagnia, con la regia di Marco Tullio Giordana, regista cinematografico di memorabili pellicole come Pasolini un delitto italiano, i cento passi, la meglio gioventù, romanzo di una strage, solo per citarne alcune, nonché sceneggiatore anche teatrale, che si cimenta e confronta per la prima volta con una storia sempre contraddistinta da un successo assoluto, testo in cui vivono i temi più peculiari e profondi della drammaturgia di Eduardo, capace di custodire l’unicità di un’atmosfera sospesa magistralmente tra commedia e tragedia, comicità e dramma, finzione e realtà.
“Eduardo è uno dei nostri grandi monumenti del Novecento. Grandezza che non è sbiadita col tempo. L’attualità di Questi fantasmi! è per me addirittura sconcertante. Il tipo incarnato da Pasquale Lojacono con la sua inconcludenza, l’arte di arrangiarsi, la disinvoltura morale, l’opportunismo, i sogni ingenui e le meschinità, non è molto diverso dai connazionali d’oggi. La grandezza di Eduardo sta nel non ergersi a giudice, nel non sentirsi migliore di lui, di loro. Non condanna né assolve, semplicemente rappresenta quel mondo senza sconti e senza stizza. Il suo sguardo non teme la compassione, rifiuta la rigidità del moralista”. (Marco Tullio Giordana)
Al centro di questa vicenda, partendo dal titolo, ci si aspetterebbe di assistere alla narrazione di una storia che tratti proprio di fantasmi. In realtà di fantasmi non ce n’è neanche l’ombra. Oppure si può dire che la loro presenza assenza sia l’ombra umana di personaggi sospesi in una vita che li sceglie e a cui non sanno reagire da protagonisti, senza ambiguità. La farsa di questa opera di genio sta proprio nel rivelare la presenza spettrale di questi personaggi che sono ciechi prima di tutto a loro stessi, alla vita che li vive in un caleidoscopio di sole apparenze. Pasquale Lojacono si trasferisce con la moglie Maria, più giovane di lui e che tanto ama, in un appartamento lussuoso all’ultimo piano di un antico palazzo, dove ha ottenuto il fitto gratuito per sfatare la leggenda della presenza di spiriti nella casa, perché più nessuno vuole vivere in quel luogo. Già da qua la tragica ironia che vuole che gli infestatori spettrali di una casa siano proprio coloro che devono scovare la presenza di spiriti, che proprio il loro vivere sospesi, arrangiandosi per essere ciò che non si è, li ponga in una condizione di inconsapevolezza, di apparenza straniante. Farsesco che ascoltando i racconti del portiere, personaggio caricaturale e truffaldino, di sua sorella Carmela, segnata da un traumatico “incontro” con uno spettro, e di altri personaggi usciti dalla magistrale e variopinta fantasia di Eduardo, Pasquale Lojacono incominci a credere all’esistenza degli spiriti, sempre continuando a mistificare o a non comprendere i propri e altrui travestimenti, l’esigenza di trincerarsi dietro a illusioni, a spiegarsi, piegandosi all’amaro vivere, attraverso l’ausilio di agenti “invisibili” però visibilissimi. Infatti quando s’imbatte in Alfredo, l’aitante e danaroso amante della moglie, lo crede la manifestazione reale di un fantasma, la prova della loro presenza in quell’edificio. Lo crede o forse lo vuole credere per salvare l’immagine ideale della propria famiglia, per aggrapparsi all’impalcatura instabile e infestata di ciò che ha costruito nella vita, per paura di sollevare quella maschera di convenzioni e illusioni posata sul volto dalle circostanze. L’equivoco prosegue nell’evolversi della vicenda e Pasquale rimane lo spettro tra spettri, che si adagia nell’ambiguità di ciò che non vuole o può sapere, tra malintesi, litigi e spiragli di verità. La storia si conclude nel segno della sospensione, della scelta operata da altri, della paura di essere sé stessi o nella certezza di non poterlo essere se non attraverso spettrali maschere: Pasquale riesce a incontrare nuovamente Alfredo, per chiedergli un aiuto economico e non solo, palesando allo “spirito” che i soldi gli servono per riconquistare e tenere legata a sé la moglie, di cui è innamorato e che avverte allontanarsi. Alfredo, commosso o impavido a scontrarsi con la confortevole e necessaria maschera che ha indossato, decide di scomparire dalla loro vita, liberando Pasquale dal peso della realtà, dal fare i conti con l’inverosimile presenza di questi fantasmi e la tragicomica assenza della verità. Verità sempre lontana, silente, al di là del balcone della propria vita, in un edificio altro, come il personaggio Deus ex machina, spettatore onniscente e privilegiato, “occhio del mondo” come lo definì Aldo Giuffrè, del Professor Santanna, emblema del rapporto tra vita e teatro, tra spettatore e attore, a metà tra l’essere vivo e l’essere un fantasma, oltre il visibile e l’invisibile.
“Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male.” (Eduardo De Filippo)
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di Eduardo De Filippo, con (in ordine di apparizione) Gianfelice Imparato, Carolina Rosi, Massimo De Matteo, Paola Fulciniti, Andrea Cioffi, Nicola Di Pinto, Viola Forestiero, Giovanni Allocca, Gianni Cannavacciuolo, regia Marco Tullio Giordana, scene e luci Gianni Carluccio, costumi Francesca Livia Sartori, musiche Andrea Farri, produzione Elledieffe – La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo