Nel testo di Antonio Tarantino, Maria Paiato, sola in scena, è Maria Croce, ragazza madre, ex prostituta, ultima degli ultimi, nel corpo, nei sentimenti, nella lingua. Diretto da Giuseppe Marini, Stabat Mater è un accidentato e originale percorso linguistico nel quale il comico si affaccia sull’orrore dell’esistere.
Lo Stabat Mater è una preghiera del XIII Secolo attribuita a Jacopone da Todi. Antonio Tarantino ne prende a prestito il nome, la figura della Madre e la tematica del dolore. L’autore si è proposto il compito di rendere attuale una figura epica come la Madre del Cristo, per trasferirla sulle rive della realtà e del tempo presente. La Madre di Tarantino è una ragazza-madre prostituta. Il padre di quel figlio che lei attende è sposato con un’altra. Il figlio che è stato generato, sul quale riponeva grandi speranze, viene arrestato in quanto terrorista. Entrano quindi in scena altri personaggi: la signora Trabucco, funzionaria dell’Assistenza sociale, Don Aldo, prete eppure uomo, soggetto ancora a reazioni perdutamente umane, il dottor Ponzio (Ponzio Pilato), che è il fautore dell’arresto del figlio e il Dottor Caraffa (Caifa), colui che imprigiona e condanna il figlio.
“Oratorio per voce sola”, recita il sottotitolo del testo: è la Madre, sola in scena, che si strugge d’attesa, sia di avere notizie del figlio sia della figura dissoluta e traditrice del padre. Sul palco, Maria Paiato, già protagonista di alcuni storici allestimenti di Luca Ronconi al Piccolo Teatro, tra cui Celestina e Santa Giovanna dei Macelli.
Lo Stabat Mater di Tarantino mischia l’italiano con sporcature dialettali e gergali, facendone la lingua dei reietti, dei diseredati. Sul degrado e sulla miseria, però, regna, resiste e vince la figura della Madre. Per quanto possa essere sofferente e posta ai piedi di una Croce immersa nella periferia popolare, resta sopra qualunque perdita, anche quella della propria dignità. La scrittura d’autore di Antonio Tarantino è costruita intorno ad un linguaggio gergale e ricercato insieme. Le sue storie traggono ispirazione talvolta classiche e religiose, talvolta politiche, sempre fortemente etiche.
Una sorta di Madonna dei bassifondi, turpiloquiante e bestemmiatrice, la Maria Croce, protagonista di Stabat Mater, ragazza madre, ex-prostituta, ma neanche troppo ex, ora stralunata straccivendola cui l’autore impone, similmente agli altri personaggi dei suoi Quattro atti profani, un’irrefrenabile e farneticante logorrea, un’incontinenza verbale comicamente oscena, fatta di martellanti interiezioni e ripetizioni, tipiche di chi vuole riaffermarsi ri-dicendo e non riesce più a parlare se non stra-parlando.
Direi che è proprio il linguaggio o, meglio, questa sua singolare rottamazione, una delle ossessioni e cifre stilistiche di Antonio Tarantino (che è poi stata la fascinazione primaria nel voler mettere in scena questo testo). È il linguaggio di quella marginalità suburbana, dannata, condannata e dimenticata dalla Storia. È la lingua degli ultimi, dei reietti, degli emarginati, degli scarti e detriti della cosiddetta modernità, che non possiedono neanche più una lingua propria (dunque una propria identità) e approdano a una strana, musicalissima e teatralissima pastura linguistica, dove si mescolano il proprio dialetto d’origine (Maria Croce è un’immigrata da un Sud Italia non ben identificato) col dialetto, gli intercalari e le abitudini gergali di una Torino periferica e degradata che Tarantino sa“dipingere” (pittore, prima di diventare drammaturgo) molto bene.
Giuseppe Marini
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Piccolo Teatro Studio Melato (Via Rivoli, 6 – M2 Lanza), dal 13 al 18 febbraio 2018
Stabat Mater
di Antonio Tarantino
con Maria Paiato
regia Giuseppe Marini
scene Alessandro Chiti
costumi Helga Williams
musiche originali Paolo Coletta
disegno luci Javier Delle Monache
produzione Società per Attori
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Orari: martedì, giovedì e sabato ore 19.30; mercoledì e venerdì ore 20.30; domenica ore 16.
Durata: un’ora e 20 minuti senza intervallo
Prezzi: platea 33 euro, balconata 26 euro
Informazioni e prenotazioni 0242411889 – www.piccoloteatro.org
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