“L’opera impone moltissimi paletti, comanda il tempo musicale” aveva dichiarato Massimo Popolizio, fra i migliori attori italiani in circolazione e ora al debutto nella regia d’opera con I Masnadieri di Verdi, in scena fino a pochi giorni fa al Teatro dell’Opera di Roma con la direzione musicale del Maestro Roberto Abbado.
È questo quello che emerge da un allestimento molto riuscito esteticamente e dal sapore quasi shakesperiano che lascia emergere il background di attore di prosa di Popolizio e che lascia che il tempo musicale governi ogni azione degli attori.
Da una parte il Maestro Abbado, letteralmente sedotto dai Masnadieri che aveva già indicato come opera “bellissima di Verdi e non minore”, si è impegnato nell’evidenziare al meglio i suoni e le sfumature di una partitura che segna di fatto il debutto musicale di Verdi in Europa e l’inizio di una collaborazione con drammaturghi di spessore (vedi Schiller e vedi primo Macbeth fiorentino degli stessi anni).
D’altra parte Popolizio che si è trovato davanti a un’opera difficile seppure drammaturgicamente seducente: ha affrontato con estrema umiltà il ruolo e di tanto lasciandosi scappare l’occasione di sfruttare tutti i mezzi a disposizione.
Per il Teatro capitolino è stata una vera scommessa affidare a Popolizio la regia di un’opera a distanza di 46 anni dall’ultima (e unica rappresentazione) a Roma, un’opera non delle più famose di Verdi: I Masnadieri non sono certo La Traviata o Rigoletto, ma sulla scia dell’entusiasmo della regia del vitalissimo Ragazzi di vita di Pasolini, pluripremiato spettacolo dello scorso anno, ecco che la scelta è caduta su Massimo Popolizio anche con il dichiarato intento di “allargare la platea”.
Felice l’idea, azzeccata e in controtendenza, del regista di retrodatare l’opera collocandola in un medioevo barbaro e quasi atemporale configurandola come una sorta di tragedia dal dna targato Shakesperare: Popolizio ha voluto privilegiare un’interpretazione che fosse “una storia di passione dai minori risvolti politici” in cui ogni personaggio mantiene una sua peculiarità shakespeariana.
Bella l’idea della lettura barbarica e violenta di quest’opera, appagante visivamente l’allestimento intriso di cupezza medievale richiama le atmosfere del Trono di Spade, nella sua truce spettacolarità, bella l’atmosfera cupa con scene, di Sergio Tramonti, essenziali e due scale componibili, la suggestiva foresta di alberi. Un palco che però resta ridimensionato dalla presenza di proiezioni sulla parte superiore: proiezioni che richiamano lo Sturm und Drang, che concretizzano la atmosfera dell’opera quando non richiamano, a tratti un po’ prevedibilmente, gli oggetti del desiderio dei protagonisti: se Carlo sogna Amalia ecco concretizzarsi lo sguardo di lei, se lei parla d’amore ecco apparire l’arcobaleno.
E qui torna un altro degli elementi portanti della rilettura di Popolizio che vede I Masnadieri come opera di conflitto e di continuo desiderio inappagato dove nessuno ottiene ciò che vuole o ciò che desidera e ciascuno resta sconfitto e insoddisfatto.
Altre idee della regia vengono portate avanti fino alla fine: Carlo, capo dei Masnadieri, di fatto non è uno di loro, è un intellettuale avulso alla violenza che resta castamente su una scala (un po’ irrealmente) da cui impartisce, ordini o duetta con Amalia in uno spostamento quasi ingiustificabile della scala a metà scena che torna al punto di partenza dopo aver conquistato la scena o con i Masnadieri che appaiono dal basso da una sorta di botola trattati come personaggio unico che si sposta in gruppo.
La scelta di mostrare in scena le crudeltà dei masnadieri viene parzialmente accolta senza andare oltre e sembra che Popolizio abbia quasi timore di osare: troppo ordine anche nella disposizione in diagonale di ogni personaggio nel finale concitato. Ma è solo la prima regia.
Pregevole il cast con Riccardo Zanellato nel ruolo di Massimiliano, una garanzia, Andeka Gorrotxategui nel ruolo del tormentato Carlo, Giuseppe Altomare nel ruolo del perfido Francesco, Marta Torbidoni è una tormentata Amalia, in un ruolo difficilissimo.