Sono i lacci simbolici, ma anche concreti il fil rouge di Lacci, adattamento del romanzo omonimo di Domenico Starnone diretta da Armando Pugliese in scena al Teatro Eliseo di Roma fino al 11 febbraio.
Forte del successo della scorsa stagione al Piccolo Eliseo, lo spettacolo è approdato quest’anno nel cartellone dell’Eliseo, trainato dal passaparola e dalla presenza sul palco di Silvio Orlando, volto popolare del cinema e della tv molto amato dal pubblico che con Lacci rinnova il fortunato sodalizio artistico con Starnone inaugurato anni fa con La scuola. Insomma se è (almeno in parte) la presenza di Orlando a richiamare e ed esaltare il pubblico, è anche vero che è veramente facile per la platea riconoscersi in qualche frammento del testo in scena che è tremendamente tragico e resta sempre cupo e amaro nell’apparente quotidianità di una famiglia. Quel che viene messo in scena è il susseguirsi di una serie di fallimenti raccontati attraverso la crisi di coppia che diventa una crisi di famiglia e che nel corso degli anni finisce per riversarsi anche sugli incolpevoli figli.
Il plot potrebbe essere uno come tanti: Aldo (Silvio Orlando) e Wanda (Vanessa Scalera) si sposano giovani, mettono su famiglia con l’arrivo dei due figli, ma quando lui si trasferisce a Roma per lavoro si innamora di un’altra per cui è disposto a sacrificare la moglie e i figli, salvo poi ripensarci e tornare da loro per essere costretto a vivere una vita infernale.
Per tutta la vita la moglie si vendicherà psicologicamente di lui, sottomettendolo, trattandosi con sufficienza rinfacciandogli sempre il suo gesto.
Lui d’altra parte non ha mai dimenticato il suo vero amore, ma è tornato a casa solo trainato dal senso di responsabilità e di colpa, legato proprio con dei lacci alla sua famiglia, lacci simbolici e reali visto che è il modo di allacciarsi le scarpe a rappresentare un momento di legame con i figli.
Condannato all’infelicità, Aldo ha sempre continuato a pagare il prezzo della sua colpa, la moglie ha sempre continuato ad apprezzarlo, ma a farne le spese sono stati anche i due figli diventati crudeli e spietati anche nei confronti dei genitori, segno che ogni cosa viene assimilato dai bambini nonostante le apparenze.
La regia di Pugliese viene orchestrata attraverso una sorta di sinfonia dolorosa attraverso diversi quadri che si aprono con il lungo ed estenuante monologo monologo iniziale di Wanda e che attraverso diversi salti temporale, non si illumina mai, che resta sempre cupa offrendo solo qualche spiraglio di (finta) salvezza) solo nei momenti in cui Aldo si confida con il vicino Nadar (lo spiritoso Roberto Nobile). Con la certezza che non esiste possibilità di redenzione alcuna. In scena fino all’11 febbraio al Teatro Eliseo di Roma.