“Un capolavoro molieriano come “Il Misantropo” rivela nella lettura della regista Monica Conti, risvolti ancor più potenti e universali: si sorride e si riflette sulle relazioni umane, non sempre facili, e si gode dell’interpretazione accurata di un ottimo cast capeggiato da Roberto Trifirò nel ruolo del titolo. Lo spettacolo debutta alla Sala Bartoli, nuovo appuntamento della stagione altripercorsi del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, martedì 3 aprile e replica fino a domenica 8 aprile”.
Con “Il Misantropo” di Molière si riflette sulle relazioni umane, in particolare nella nuova lettura registica che Monica Conti propone alla Sala Bartoli dal 3 all’8 aprile, ospite del cartellone “altripercorsi” del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.
Messo in scena per la prima volta a Parigi nel 1666, “Il Misantropo” è uno dei grandi capolavori di Molière e Monica Conti – regista di spicco nel panorama italiano – lo affronta a conclusione di un ciclo di spettacoli che ha costruito basandosi sulla necessità di ripresentare testi classici passando attraverso il corpo dell’attore.
Non si tratta dunque di una messinscena classica, con grandi impianti scenografici, bensì di un lavoro che si concentra molto sull’interpretazione attoriale, puntando con decisione sull’esplorazione dell’energia e della dinamicità delle relazioni in scena.
L’indagine delle relazioni umane disvelerà i nodi più universali e senza tempo di questo testo, trasmettendole con forza. Assi portanti della ricerca registica e del lavoro attoriale sono perciò l’indagine sugli stati d’animo, in cui non si ricerca in chiave psicologica ma tipologica. Hanno inoltre fondamentale importanza i rapporti, le situazioni, i sottotesti e la musica.
Già ne “Le Intellettuali” (precedente lavoro molieriano di Monica Conti) musicalità e ritmo nei dialoghi avevano costituito per la regista materia d’indagine. Ne “Il Misantropo” prosegue questo lavoro, teso a dare rilievo al ritmo e al suono non come forme estetiche, ma come forme di espressione dell’inconscio.
Anche lo spettatore, dunque, aiutato dallo spazio raccolto della Sala Bartoli, che permette di rapportarsi con gli attori quasi in un continuo “primo piano”, è chiamato a considerare soprattutto il lavoro degli interpreti in relazione ai temi del testo, godendosi l’apporto davvero notevole di una preparata compagnia, con Roberto Trifirò impegnato nel ruolo del protagonista Alcesti.
Questi è l’emblema di un ambire disperato e costantemente deluso all’armonia: Alcesti è intransigente, ma anche il mondo in cui vive è duro, e in questa sua lotta egli viene talmente frustrato da risultare infine molto comico. Molière lo sapeva bene e lo pone davanti a un “Teatrino del Mondo” di cui egli – puro, sincero e rigoroso fino al parossismo – non riesce ad accogliere o a perdonare ipocrisie e stupidità.
Il pubblico lo comprende fin dal primo atto: mentre aspetta l’amata Celimène (per un gioco del destino si è innamorato proprio di una donna vanesia e superficiale) uscita a far compere, Alceste appare subito impegnato a dichiarare a Filinte la propria incapacità di accettare corruzione e ipocrisia. E a nulla valgono i miti consigli dell’amico: non passa un attimo che Alceste sbatte in faccia al potente Oronte di aver detestato un suo sonetto… Naturale che Oronte non la prenda affatto bene. E con la medesima tragicomica caparbietà si pone in modo “stonato” in ognuno dei suoi rapporti sociali, traendone insoddisfazione, rabbia, infelicità, fino ad autoemarginarsi dal mondo. «È uno spettatore passivo della vita, talmente scontento da rimanere immobilizzato a causa del suo avvilimento» dice la regista di questo disperato e disarmonico eroe, emblema di come l’uomo sia sempre in difficoltà nella percezione di una realtà sfuggente.
«Ne “Il Misantropo” più che la trama, contano le relazioni umane che sono poi la cosa più importante della nostra vita» approfondisce ancora nelle sue note. «Nell’arco di una giornata Alceste rompe con la società malata in cui vive. È un essere intelligente e ironico ma che nutre un odio feroce per gli uomini che fa ingigantire in lui la percezione dei loro difetti. È un essere contraddittorio, contemporaneamente saggio e folle, che ama proprio la donna che incarna tutti i vizi che lui odia o, forse, la ama proprio per questo.
Ho cercato di approfondire al massimo queste relazioni e, nello stesso tempo, di far diventare carne i versi di Molière tradotti nell’italiano di Cesare Garboli. Lavorando da anni su Molière e in particolare su questo testo, ho cercato anche di cogliere ciò che sta sotto a un linguaggio ricercato e “antico”, ma che, a tratti, pare scritto col sangue da un poeta veggente. E se nei primi tre atti ancora, qua e là, traluce il genio comico dell’autore, nel quarto sprofonda nella follia e nel quinto nel disincanto, aprendo la strada al Teatro moderno».
“Il Misantropo” di Molière va in scena nella traduzione di Cesare Garboli e nell’adattamento e per la regia di Monica Conti. Ne sono interpreti Roberto Trifirò (Alceste), Davide Lorino (Filinte), Nicola Stravalaci (Oronte), Flaminia Cuzzoli (Celimène), Angelica Leo (Eliante), Stefania Medri (Arsinoè), Stefano Braschi (Acaste), Antonio Giuseppe Peligra (Clitandro), Monica Conti (pianista).
Il disegno luci è di Cesare Agoni, le scene sono di Andrea Anselmini, i costumi di Roberta Vacchetta, le musiche di Giancarlo Facchinetti, cura luci e suoni Rossano Siragusano.
Lo spettacolo va in scena da martedì 3 aprile alle ore 19.30 alla Sala Bartoli per il cartellone “altripercorsi” del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Le repliche si terranno fino a domenica 8 aprile alle ore 16.
I biglietti per lo spettacolo sono ancora disponibili presso tutti i punti vendita del Teatro Stabile regionale e anche attraverso il sito www.ilrossetti.it.
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Monica Conti
Si diploma in regia alla “Civica Scuola Paolo Grassi” di Milano e in pianoforte al Conservatorio di Brescia. Dal 1986 lavora come attrice per 10 anni diretta dai maggiori registi italiani. Nel 1989 debutta nella regia mettendo in scena “Faust. Un travestimento” di Sanguineti. La regia diviene il suo proincipale capo d’azione dal 1996: firma fra gli altri “Aprile a Parigi” di Goldberg, “Stretta sorveglianza” di Genet, “L’ultimo nastro di Krapp” di Beckett, “Voltati, parlami” di Moravia, “La donna di pietra”ispirato a Emily Dickinson di cui è anche autrice, “Il sottotenete Gustl” di Schnitzler, “Minetti” di Bernhard con Gianrico Tedeschi… Riceve nel 2001 il Premio Hystrio alla regia, proprio per questi ultimi lavori. Ancora con Gianrico Tedeschi affronta Molière, “Il medico per forza”, dello stesso autore mette in scena poi “Dispetto d’amore”. Poi è la volta di Grillparzer con “le onde del mare e dell’amore”, del grande progetto su “Coefore” di Eschilo-Pasolini per la Biennale di Venezia e le Orestiadi di Gibellina, e dello “Studio sull’Adelchi” di Manzoni con Franco Branciaroli. Dal 200 è anche regista di lirica: le prime opere da lei firmate sono la dodecafonica “Barrabas” di Camillo Togni e “Il mito di Caino” di Franco Margola.