Al culmine del percorso disegnato da Eleonora Frida Mino sul tema del rapporto donna/mafia, la Casa Teatro Ragazzi di Torino porta in scena un reading profondo e struggente, per raccontare agli studenti una verità spesso e mai abbastanza discussa. Forse per il tema in sé, forse per il coinvolgimento innegabile dell’interprete, lo spettacolo-racconto assume la forma del reading, partendo dal testo che la stessa Mino ha scritto con Roberta Triggiani: una lettura schietta, diretta, che racconta di come molte donne di mafia siano state scagionate da stereotipi sessisti nascondendosi dietro quello stesso status “di genere” che molte altre donne combattono da decenni.
Le donne di mafia, madri e figlie, raffigurate nel loro rapporto con i presunti “valori” dell’omertà, della vendetta, del disprezzo della giustizia o viceversa del loro rifiuto di una forma di giustizia personale che negli ambienti mafiosi viene tramandata di madre in prole. La storia di Giovanna Cannova, ad esempio, la cui concezione dell’essere madre antepone la cura di tali valori negativi alla cura dei figli stessi, o viceversa la storia di sua figlia Rita Atria, testimone di giustizia protetta da Paolo Borsellino morta suicida alla notizia dell’assassinio del giudice.
Il conflitto generazionale si fa veicolo per rappresentare una “storia vera” che incontra quegli stessi elementi caratterizzanti la tragedia greca: Cannova si rivolse in prima persona al giudice Borsellino, appellandosi paradossalmente alla giustizia nel tentativo di riscattare la figlia dalle sue scelte. La morte di Rita è un vero deus ex machina, una punizione divina per la madre.
La crudezza della narrazione di Eleonora Frida Mino è solo leggermente lenita dagli interventi di fisarmonica e violino (Matteo Castellan e Giulia Subba) o dal Live painting di Giulia Salza. Anzi, l’estetizzazione del racconto enfatizza la drammaticità, qui nella sua duplice accezione, delle vicende narrate: tale è il carattere di altre due donne legate alla mafia, per quanto a differenza di Cannova portatrici di valori positivi.
Suor Carolina Iavazzo, che a fianco di Padre Pino Puglisi si impegnò nel recupero dei giovani sbandati di Palermo e in Calabria: vera madre pur non essendo madre, è stata la fautrice della salvezza di molti potenziali mafiosi, quei “figli del vento” che all’infuori della cultura mafiosa non possedevano alcun riferimento;
Maria Stefanelli, che a fronte degli abusi domestici non ha mai potuto perdonare l’omertà della madre e che solo con il matrimonio con il boss della ‘ndrangheta Ciccio Marando ha potuto emanciparsi dalla disastrosa situazione familiare: vittima, martire, mafiosa e madre a sua volta, alla sua sorte spietata si è sommato il coraggio di sottrarre la figlia mimma dallo stesso destino.
La ribellione e il martirio di Antigone, infine, quale simbolo e sintesi della poco conosciuta relazione tra donne e mafia: come nella tragedia di Sofocle, l’essere donna non può negare il diritto di scegliere e diffondere valori e disvalori. La classicità della tragedia incontra la terribile verità storica dell’affaire Borsellino, di Giovanna Cannova e Rita Atria, di Suor Carolina Iavazzo e Maria stefanelli: dell’omicidio e della vendetta, del riscatto e del coraggio.
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ANTIGONE 3.0 Essere madre
Da un’idea di Eleonora Frida Mino
Testi di Eleonora Frida Mino e Roberta Triggiani
Fisarmonica Matteo Castellan
Violino Giulia Subba
Live painting Giulia Salza
Luci Simona Gallo
Compagnia Eleonora Frida Mino