Simon Boccanegra è un’opera complessa, ricca di simbolismi, citazioni, pervasa da una forza drammatica crepuscolare, dove i personaggi vengono disegnati dalla potenza della musica che ne delinea la psicologia ancor prima del libretto, tratteggiando con precisione millimetrica gli stati d’animo, i pensieri, i sentimenti dei protagonisti.
Cupa nelle vicende degli uomini ed eterea nelle vicende sentimentali, una romantica complessità, grandiosa e delicata, che ne fa un capolavoro assoluto, sicuramente diverso da altre produzioni di Verdi, in un certo senso unico.
La vicenda storica del Boccanegra diventa puro sottofondo allo svolgimento del dramma, che è il nucleo centrale di una vicenda dove si intrecciano amori, odii, complotti, politica. Un affresco magnifico, fatto di suoni e parole, dove tutto è inaspettato, eppure così equilibrato, dove il lirismo diventa estatico, ma anche cupo, violento, sublime.
Questo allestimento di Federico Tiezzi (del quale abbiamo avuto modo di apprezzare recentemente anche lo spettacolo di prosa Freud o l’interpretazione dei sogni, al Piccolo) è essenziale, elegante, sebbene quasi per nulla innovativo: accompagna lo svolgersi del dramma con il giusto equilibrio.
Le simbologie che il regista aggiunge all’opera, coadiuvate dalle scene di Pier Paolo Bislieri, l’utilizzo del colore come elemento distintivo, della luce, fino ai movimenti scenici quasi cinematografici, ci hanno fatto apprezzare davvero sia il contesto in cui viene calata l’opera, che è ambientata nel ‘300, ma somiglia più ad un’allegoria della borghesia ottocentesca – e, perché no, anche di quella attuale – sia lo sviluppo dei personaggi che, come detto, avviene più per via musicale che drammaturgica.
Abbiamo apprezzato moltissimo anche i chiari richiami alla composizione pittorica, che rendono l’estetica dell’insieme armoniosa, equilibrata, formalmente ineccepibile, regalando dei veri momenti di estatica ammirazione in perfetta sintonia con l’insieme del prodotto artistico.
Il maestro Myung-Whun Chung, che non è nuovo come interprete di quest’opera, ci è sembrato però leggermente sotto tono in questa particolare occasione. Ricordando la magnifica esecuzione scaligera del 2016 e dell’anno prima alla Fenice, qualcosa è sembrato non quadrare completamente. A partire da un equilibrio precario tra le sezioni dell’orchestra (in particolare dei fiati), per finire con una lentezza forse eccessiva nel prorogo e qualche momento di defaillance tra buca e palcoscenico.
Ciononostante, nell’insieme, l’interpretazione di Chung resta unica: una firma inconfondibile che si apprezza sempre nel suo insieme di delicata raffinatezza.
Qualche nota negativa è arrivata purtroppo anche dai cantanti: ci è sembrato davvero un peccato che gli interpreti non fossero completamente all’altezza della situazione, sebbene l’asticella, come detto, fosse fissata molto in alto.
Leo Nucci si conferma un grande interprete, nonostante un inciampo nel prorogo. Le purtroppo evidenti difficoltà nell’emissione vocale sono state controbilanciate da una capacità empatica, a tratti genuinamente commuovente. Il Fiesco di Dmitry Belosselskiy, invece non ci è sembrato del tutto maturo, nonostante le innegabili capacità vocali e il timbro corposo.
Anche il Paolo Albiani di Dalibor Jenis ha alternato difficoltà e momenti più alti: un bel timbro, ma non sempre del tutto evoluto, in un’interpretazione forse un po’ ostentata, così come la voce di Fabio Sartori, il tenore trevigiano nella parte di Gabriele Adorno. Una potenza vocale che salta all’orecchio, pur senza saper rendere le giuste sfumature alla partitura: vecchia scuola, si dirà.
Per finire, la Amelia di Krassimira Stoyanova ci è sembrata eccessivamente tendente al verismo, priva di quelle sfumature romantiche che invece dovrebbero appartenere alla figlia ritrovata del Boccanegra.
Ineccepibile la prova del coro, menzione speciale anche ai costumi di Giovanna Buzzi e alle luci di Marco Filibeck.
A fine recita applausi convinti per tutti, in particolare per Nucci e Chung.
La recensione si riferisce alla recita di giovedì 1 marzo 2018.