Dino Campana. Un poeta, un pazzo, un viaggiatore, un manesco, un intellettuale, un uomo che ha fatto mille mestieri. Canti Orfici, la sua unica composizione poetica, ha illuminato la letteratura europea del Novecento tanto che Carmelo Bene definiva Campana il suo poeta preferito. Cosa fa un Poeta, un viaggiatore, un malato di schizofrenia o più semplicemente un uomo che ha vissuto e scritto come Dino Campana, in un manicomio per quattordici anni? “Essere è essere percepiti” scriveva Beckett. Si vive attraverso lo sguardo degli altri, e quando gli altri non ci guardano più si ha solo la possibilità di raccontare la propria storia a se stessi per assicurarsi, o illudersi, che quella storia sia esistita realmente. Dino Campana, uomo prima che poeta, chiuso nella sua camera di manicomio nella sua più lunga ora di vita, forse l’ultima (il primo titolo scelto da Campana per i Canti Orfici era Il più lungo giorno), rimane, insieme alla voce di Sibilla Aleramo, il cantore tragico del secolo scorso, convinto che solo la poesia salverà il mondo.
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