Il giornalista Alexandr Petrovič Gorjančikov è al lavoro nel suo studio assieme a una giovane collaboratrice. Irrompe una squadra di uomini incappucciati, forze speciali di un qualche tipo, lo rapiscono e lo deportano in un campo di prigionia. Si apre un catalogo vivente di orrori, di dolore e di colpa. Il giornalista, che si dichiara subito prigioniero politico, è immediatamente attorniato da una torma di galeotti, irriso e vessato. Come benvenuto gli spaccano le dita con un martello. Solo alla fine dello spettacolo, dopo aver attraversato l’inferno in terra, sarà graziato e potrà tornare al suo lavoro.
Da una casa di morti è l’ultima opera di Janáček, che non fece nemmeno in tempo a rivederne la partitura. Un lavoro ispirato alla narrazione autobiografica di “Memorie da una casa di morti” di Fëdor Dostoevskij, che fu detenuto in una colonia penale zarista per tre anni dopo essere stato condannato per partecipazione a un’associazione segreta. Janáček partì dal racconto di Dostoevskij e costruì un’opera che travalica i canoni usuali del teatro musicale per l’ambientazione e per la partitura, scabra e ricca di dissonanze affilate, che accompagna e ingigantisce l’azione in scena.
La nuova produzione dell’Opera di Francoforte, ideata da David Hermann, trascende l’ambientazione originale del gulag zarista (a parte qualche richiamo dei costumi di Michaela Barth) e racconta dei rapporti (dis-)umani in un generico spazio di afflizione. Un non-luogo fatto di semplici pareti scure che ruotano sul palcoscenico, rischiarato dalle luci bianche da penitenziario preparate da Joachim Klein. In questo ambiente scarno (scene di Johannes Schütz) si sviluppa la narrazione della condizione umana nelle condizioni estreme dell’universo concentrazionario. Un buco nero che nel corso del Novecento ha ingoiato decine di milioni di persone. Ne esce uno spettacolo compatto che restituisce tutta la desolante ripetitività e, a tratti, il sadismo, della colonia penale. Da una casa di morti è un’opera “collettiva”, senza un vero e proprio baricentro drammatico, in cui i momenti corali si alternano ai racconti dei galeotti che descrivono le proprie imprese criminali. Un mondo senza speranza in cui è difficile scorgere la “scintilla divina presente in ogni creatura”, come Janáček annotò sullo spartito.
Per questo allestimento l’opera di Francoforte fa leva sulle risorse del proprio ensemble. Gordon Bintner restituisce bene gli accenti angosciati di Alexandr Petrovič Gorjančikov, gettato all’improvviso e senza spiegazione in un girone dantesco senza possibilità di redenzione. Vincent Wolfsteiner veste i panni di Filka Morozov (alias Luka Kuzmič), condannato per l’omicidio di un ufficiale e trasformato in un chirurgo sadico che non avrebbe sfigurato in Arancia Meccanica. Il baritono Johannes Martin Kränzle presta voce e corpo alla disperazione di Šiškov e offre al pubblico una grande interpretazione di una mente devastata dall’odio e dalla colpa. Potente lo Skuratov di AJ Glueckert, un altro assassino del vasto catalogo compilato da Janáček. In un mondo tutto declinato al maschile, Karen Vuong assume il ruolo en travesti di Aljeja, il più giovane internato del campo; il soprano americano, perfetta nella linea vocale, ricrea tutta la fragilità dell’adolescente che trova in Gorjančikov una figura protettiva e si dispera quando questi viene liberato. Tito Ceccherini, alla sua prima premiere a Francoforte, conduce con mano ferma la Frankfurter Opern- und Museumsorchester attraverso i colori radicali e spigolosi della partitura di Janáček, dove i toni bassi dei tromboni si alternano allo sferragliare metallico dei tamburi e alla malinconica pesantezza di certi passaggi degli archi. Potente e incisivo il coro preparato da Tilman Michael.
Minuti di applausi salutano alla fine i protagonisti della serata.
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AUS EINEM TOTENHAUS (Da una casa di morti)
Opera in tre atti di Leoš Janáček
Libretto di Leoš Janáček, da Memorie da una casa di morti di Fëdor Dostoevskij
Prima rappresentazione il 12 aprile 1930 al Teatro Nazionale di Brno
In ceco con sottotitoli in tedesco e inglese.
Direttore: Tito Ceccherini
Regia: David Hermann
Scene: Johannes Schütz
Costumi: Michaela Barth
Luci: Joachim Klein
Direttore del coro: Tilman Michael
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Cast
Alexandr Petrovič Gorjančikov / Don Juan / Il diavolo Gordon Bintner
Aljeja Karen Vuong
Filka Morozov (in prigione sotto il nome di Namen Luka Kuzmič) Vincent Wolfsteiner
Šiškov Johannes Martin Kränzle
Skuratov / Una voce delle steppe AJ Glueckert
Il detenuto grande / Čerevin / prima guardia / Il detenuto con l’aquila Ralf Simon
Il detenuto piccolo / ČekunovGurgen Baveyan
Il comandante della piazza Barnaby Rea
Il detenuto vecchissimo Samuel Levine
Kedril / detenuto / attore Jaeil Kim *
Il detenuto ubriraco Hans-Jürgen Lazar
Il cuoco / tetenuto Iain MacNeil *
Il fabbro / detenuto / seconda guardia Mikołaj Trąbka *
Il Pope / detenuto Thesele Kemane *
Il detenuto giovane / detenuto Ingyu Hwang
La serva Barbara Zechmeister
Detenuto Dietrich Volle
Detenuto Brandon Cedel
Šapkin / il detenuto felice Peter Marsh
Una giovane donna Gal Fefferman
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Chor (Herren) der Oper Frankfurt
Frankfurter Opern- und Museumsorchester