I Veryferici è, prima di tutto, uno spettacolo autobiografico. La compagnia Shebbab Met Project si presenta come “un gruppo eterogeneo di uagliun, vez, bischeri, gombodo, bòsyò, tineri”, insomma i Veryferici sono proprio loro. Gente nata nella periferia del mondo che una forza più vigorosa di quella centripeta ha spinto verso il centro, verso la luce. Il viaggio è faticoso, pieno di ostacoli. Non basta scomparire nella nebbia per riapparire dove si vuole. E, come tutte le cose difficili, questo viaggio vale la pena di essere raccontato, urlato, cantato, a volte anche sputato. Soprattutto, ascoltato. – D’altronde urlano sempre loro, sentissi ieri quel nero sull’autobus che stava a telefono…
Vincitore del Premio Scenario Ustica 2017, lo spettacolo parla un linguaggio universale che unisce musica, rabbia, sarcasmo, parole in lingue e dialetti diversi, schiaffi. Sia gli schiaffi sul viso, sia quelli sullo stomaco e sul cuore: dopo la cinquina, il riverbero. Ogni veryferico racconta la sua storia, che è unica e simile a tante altre; ognuno la racconta in maniera diversa, ma tutti con gli occhi fissi sullo spettatore, sguardo dritto, non di sfida ma di consapevolezza. I Veryferici sanno di avere coscienza di un mondo periferico in continuo movimento. Loro sanno che quella periferia non è tutto intorno, ma di fronte. Dentro e fuori, come uno schiaffo sulla guancia che arriva fino al nodo alla gola. – Che poi di tanti schiaffi, qualcuno se lo saranno pure meritato…
Hanno scritto un album i Veryferici. Di quegli album da cantautore, dove ogni brano racconta una storia, ma tutte le storie sono collegate tra loro. Di quelli che, quando finisci di ascoltarli, ti hanno lasciato un’immagine, un’idea, qualche volta ti hanno anche insegnato qualcosa. Sono tutte storie vere e la musica è stupenda. Generi diversi, stessa energia, stessa capacità di farti battere il piede a tempo. – Eh gli africani hanno il ritmo il sangue, stanno sempre con quei tamburi sotto mano…
I Veryferici parlano lingue diverse, ma capiscono e si fanno capire. Riescono sempre a trovare un modo per dirti qualcosa. Si sanno arrangiare e conoscono più di altri il linguaggio del corpo. A teatro hanno la possibilità di mettere insieme parole, gesti, melodie. Lo hanno fatto parecchio bene. Soprattutto, a teatro hanno la possibilità di raccontare qualcosa mentre gli interlocutori stanno zitti. Se ne parla tanto, dei Veryferici, al bar e in televisione, nei monolocali in affitto e nelle suite d’albergo, se ne parla così tanto, e da così tanto tempo, da discuterne ormai senza di loro. Come se la questione fosse ormai diversa, altra da loro. Se ne parla, spesso, senza sapere quello che si dice.
I Veryferici è una terapia che dovremmo fare tutti.
I Veryferici si chiamano Lamin Kijera, Moussa Molla Salih, Alexandra Florentina Florea, Natalia De Martin Deppo, Youssef El Ghada, Matteo Miucci, Younes El Bouzari, Gianfilippo Di Bari, Camillo Acanfora. La regia è collettiva, coordinata da Camillo Acanfora, e la drammaturgia, incisiva e provocatoria, è di Natalia De Martin Deppo.
I Veryferici ne hanno di cose da dire, ma questo non basta per costruire uno spettacolo, tantomeno per assicurarsi minuti di applausi. I Veryferici si sono saputi raccontare, hanno fatto delle loro capacità e della loro storia un prodotto artistico di livello, che fa sorridere e riflettere. Che ci fa stare attenti al peso delle parole e al riverbero degli schiaffi.