da “Cyrano de Bergerac” di Edmond Rostand
adattamento e regia Marco Predieri
con Marco Predieri
e con Simone Marzola, Maria Rita Scibetta, Riccardo Giannini, Marco Giachi, Raffaele Totaro, Patrizia Ficini, Marco Santi, Stefano Carotenuto, Simone Fisti, Mattia Scibetta, Alessandro Benedetti
scene Franco Predieri
costumi Marcello Ancillotti CdG
produzione ALTROVE TEATRO
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«Ma poi che cos’è un bacio? Un giuramento fatto poco più da presso, un più preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo rosa messo tra le parole “T’amo”; Un segreto detto sulla bocca, un istante d’infinito che ha il fruscio d’un’ape tra le piante, una comunione che ha gusto di fiore, un mezzo di potersi respirare un po’ il cuore e assaporarsi l’anima a fior di labbra.»
Dalla prima assoluta, il 28 dicembre 1897, ad oggi, il personaggio di Cyrano, ispirato a Savinien de Cyrano, realmente vissuto nel diciassettesimo secolo, ha conquistato infinite platee, commuovendo con le sue gesta il pubblico di ogni età e di ogni epoca che ha attraversato con il suo naso smisurato, divenendo uno straordinario emblema romantico dell’eroismo più puro e indomito.
Marco Predieri, premio speciale “Giulia Ammannati” per il Teatro al Festival Nazionale di Cinema Teatro e Televisione di Villa Basilica, ritorna a interpretare il ruolo di Cyrano, dopo averlo portato già nel 2015 al Festival Intrecci d’Estate Nexus e lo rivisita con passione e impegno profondo, confrontandosi con i sentimenti controversi dell’animo umano, sviscerandone desideri, idealizzazioni e fragilità complesse.
Lo abbiamo intervistato per voi, per comprendere da vicino lo studio del personaggio e della commedia che lo ha a lungo interessato:
Marco Predieri, attore, regista, drammaturgo, giornalista e critico teatrale, perché ha scelto di interpretare il personaggio di Cyrano?
La storia di Cyrano e il Cyrano di Bergerac di Rostand sono credo una delle pagine più affascinanti del teatro mondiale e questo ruolo è forse scritto nel dna di tutti gli attori. Personalmente poi mi sono sentito da sempre attratto da questa figura, non solo artisticamente. Il suo modo di essere, di concepire la vita, la sua libertà totale, messa in discussione solo dalle proprie fragilità e insicurezze, che abilmente nasconde dietro la maschera di uno spirito goliardico e anche attaccabrighe, sono qualcosa che mi appartengono come persona, nelle mie scelte quotidiane, nel modo di pormi o espormi… È qualcosa che anche personalmente soffro e pago, talvolta a caro prezzo… ma a cui non riesco a rinunciare. Un modo di vivere anacronistico, per le persone con la testa sulle spalle, forse un po’ folle… Non credo di peccare di presunzione se dico che in fondo io mi sento un po’ come lui, come Cyrano… Che non è bello ma ama Rossana, che si fa saccheggiare da Molière; che è ricco di talenti e qualità, ma non riesce a metterli a frutto per mancanza di ipocrisia e opportunismo. Quando mi fu proposto la prima volta di vestire questo ruolo per un Festival mi tremavano le ginocchia, ci misi tre mesi per accettare. Poi ho detto sì ed è successo qualcosa di incredibile, difficile da spiegare: Cyrano è venuto a sostenermi, è diventato mio amico e io oggi posso dirlo senza paura, ogni sera lo sento accanto a me… Gli voglio un bene che a parole mi è arduo descrivere.
La natura umana quanto è condizionata dalle apparenze?
Totalmente purtroppo, è normale sia così. Noi stessi siamo i nostri primi censori. È complicatissimo seguire le proprie aspirazioni, non correggersi o limitarsi in funzione di come sentiamo di dover apparire o di quello che gli altri pensano o possono pensare di noi o di come ci vogliono, di più di come dobbiamo essere per lavorare o stare in società, a volte solo per essere accettati. Le mosche bianche sono rare. Iniziamo fin da bambini a scuola a omologarci … Chi non si adegua è il diverso, a volte finisce per essere bullizzato, magari solo perché ama il teatro e la danza e aspira a un futuro artistico anziché sognare il pallone… È un esempio, per carità, ma credo sia calzante. Siamo animali sociali, viviamo in branco, ma pur possedendo il dono dell’intelligenza, tendiamo a prediligere l’istinto dell’omologazione e fatichiamo a concepire il nostro prossimo, o persino noi stessi, come un’entità autonoma e unica. Anche quando proviamo ad affermare noi stessi non possiamo nascondere il fastidio e una certa sofferenza nel non essere magari del tutto capiti e accettati. E anche Cyrano, in fondo, dietro il suo spiro, questa sofferenza la vive tutta. “Sapessi com’è triste a volte sentirsi così brutti… Così soli”: è forse una delle battute più belle di questo testo che è denso di significati, di umanità, di bellezza.
In questo momento storico trova ancora attuale l’eroismo del personaggio?
Non c’è periodo storico in cui Cyrano non sia attuale, perché in fondo mette in scena la natura umana al di là del tempo, non solo con il personaggio principale, ma con tutti i caratteri che sono descritti e ben presentati nell’opera. Pensare a Cyrano come a un eroe non è del tutto corretto. Cyrano è un essere umano, che certo si nutre di ideali, ma che sbaglia, che si auto-limita, che ha paura, anche se non lo dà a vedere, che trova piccoli spazi anche per confidarsi con l’amico. Cyrano è un guascone che si batte per il proprio prossimo, una chioccia che mette sotto l’ala il debole da proteggere, ma è un disperato, in fondo, che ha un estremo bisogno di comprensione, di protezione. Come può non essere attuale? Come fanno a non essere attuali le figure che lo circondano, dai cadetti, che rappresentano una gioventù bella, che si apre alla vita, desiderosa di futuro, di avventure, spensierata e che viene catapultata improvvisamente e senza adeguata preparazione nel mezzo di una guerra difficile che certo non gli appartiene. I nostri ragazzi sono così e lo saranno sempre e per i giovani nel mondo non mancherà mai una guerra, anche personale, da dover combattere senza una rete adeguata. Come può non essere contemporaneo De Guiche, che rappresenta l’ambizione e la spregiudicatezza vigliacca del potere unito al danaro? Basta guardare chi è chiamato oggi a governare questo nostro pianete, sulla pelle degli ultimi, ai voltafaccia della politica internazionale e ovviamente di quella italiana. In questa opera c’è tutto. Forse, assieme ai grandi come Shakespeare, Goldoni, Molière, Pirandello, Eduardo, Cyrano è la massima espressione di quanto il teatro possa rappresentare l’essere umano nella sua bellezza come nella sua meschinità, nella sua forza che a volte è incredibilmente insperata e nella sua estrema fragilità sottomessa ai venti del destino.
Il teatro è ancora luogo di riflessione capace di veicolare contenuti importanti?
Il Teatro resta la forma più alta del contatto umano e dello scambio emotivo e in questo sarà sempre il veicolo più efficace; lo è dalla nascita stessa dell’uomo, per comunicare messaggi e raccontare noi stessi. Non esiste spettatore che non esca da un qualsiasi spettacolo con un emozione addosso, sia che abbia riso, si sia commosso, ma persino si sia annoiato. Un effimero necessario. Effimero perché di ciò che avviene nel tempo dello spettacolo, una volta spente le luci, non resta nulla di materiale, necessario perché in realtà è il momento della semina.
Quale il messaggio di Cyrano, secondo lei?
Domanda ardua che non può limitarsi a una sola risposta. Banalmente potremmo dire che ci invita a essere noi stessi, nel bene e nel male, ma da un certo punto di vista proprio questo lo porta alla sconfitta, se lo guardiamo in termini di un risultato terreno immediato. Cyrano ci racconta che per tutti c’è un destino, dove incrociamo certamente dei bivi e sta a noi scegliere la strada da percorrere, ma che alla fine a questo destino non possiamo sottrarci. Ci parla dell’alto valore dell’amicizia… Ci parla di come essere eroi senza esserlo. Non lo so dire meglio, l’unica cosa è incontrarlo, leggerlo, andarlo a cercare, perché i messaggi che suggerisce, citandone un suo passaggio tra i più celebri, ce li soffia dentro, come un’anima. Io sono perdutamente innamorato di lui e non perché lo interpreto. Ne sono così innamorato che ho quasi pudore a parlarne.
Il suo riadattamento della commedia è stato arricchito da passaggi scritti da lei?
Nello spettacolo vi sono piccoli passaggi scritti da me, ma che in alcun modo stravolgono o aggiungono nulla all’opera. Io propongo una riduzione personale del Cyrano di Rostand, che ho ritradotto e adattato, concentrando lo spettacolo sulle parti più dense e significative del copione, ripulendolo da orpelli e scene che, pur bellissime, tutto sommato possono considerarsi di contorno. Ho cercato di offrire al pubblico una costrizione linguistica più vicina alla nostra contemporaneità, anche nell’uso di certi termini. Faccio aprire lo spettacolo a un cadetto, un testimone diretto della vicenda, in qualche modo un voler aprire le danze proprio partendo da quella gioventù di cui parlavo prima e alla quale questo Cyrano guarda e spero possa parlare.
Intervista a cura di Ines Arsì