Si presenta all’incirca a metà secolo il romanzo di Dino Buzzati che avrebbe capovolto la letteratura italiana del Novecento. Romanzo amato sotto punti di vista differenti e contrastanti, da manifesto del rigore e della disciplina militare a esponente ante-litteram degli ideali pacifisti, Il deserto dei Tartari racconta distintamente almeno un tema per il quale qualunque interpretazione è vacua: la solitudine.
Dal punto di vista del protagonista Giovanni Drogo, giovane tenente assegnato a una fortezza che affaccia sul nulla del deserto, alla distanza della famiglia e degli affetti si contrappone l’incapacità di riconoscersi negli altri commilitoni – sfatando il mito del cameratismo militaresco, come già Buzzati sembrava suggerire. Drogo, prigioniero della solitudine e avvilito dalla vacuità e dalla desolazione del paesaggio, imparerà solo nella condivisione di un’attesa che non avrà mai termine a comprendere il significato delle circostanze, aspettando un nemico che non comparirà mai.
Il capolavoro di Buzzatti viene trasposto nella drammaturgia scritta e diretta da Paolo Valerio con marcate venature di rassegnazione e malinconia, dominata dall’apparente vuoto scenografico (Antonio Panzuto) e caricata di senso dalle vicissitudini dei personaggi (la cui presenza scenica collettiva è finemente curata da Monica Codena), dalla proiezione delle illustrazioni originali di Buzzati (a cura di Raffaella Rivi), sotto l’accompagnamento delle musiche originali composte da Antonio Di Pofi ed eseguite da un pianoforte, una fisarmonica e un theremin (rispettivamente Mario Piluso e Marina La Placa).
Fortezza Bastiani, la fortezza della solitudine e della separazione dal mondo, dalla vita, diventa nella produzione del Teatro Stabile del Veneto la metaforica scena di una prigione dell’io, una prigione rovesciata in cui il libero arbitrio non corrobora la definizione di un’identità. Una “scena”, appunto, che sembra scritta apposta per il teatro, riuscendo a collimare nel grande riconoscimento di pubblico e critica: una trasposizione non facile che merita in primo luogo il plauso per la fedeltà allo spirito del romanzo senza tuttavia rinunciare a un suo totale adattamento in chiave teatrale.
Il personaggio di Drogo acquisisce in questo modo tanti volti quanti sono i suoi ripensamenti e le sue titubanze circa il rapporto con la fortezza, efficacemente interpretato da tutti gli attori in scena (Leonardo De Colle, Alessandro Dinuzzi, Simone Faloppa, Marco Morellini, Roberto Petruzzelli, Christian Poggioni, Stefano Scandaletti, oltre allo stesso Paolo Valerio), come se fosse alla costante ricerca di un pretesto per imporre la sua identità: Drogo non ha un interprete definito perché non sa chi è, rimarrà incagliato nella Fortezza aspettando il nemico per trent’anni sbirciando da quell’unica feritoia nella speranza di vedere un segnale di ostilità che possa restituire un significato, benché misero, al lento trascorrere della sua vita.
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Il deserto dei Tartari
di Dino Buzzati
adattamento e regia di Paolo Valerio
assistente alla regia Paola Degiuli
direttore di scena Federico Rossi
con Leonardo De Colle, Alessandro Dinuzzi, Simone Faloppa, Marco Morellini, Roberto Petruzzelli, Christian Poggioni, Stefano Scandaletti, Paolo Valerio
pianoforte e fisarmonica Mario Piluso
theremin Marina La Placa
movimenti di scena Monica Codena
scenografia Antonio Panzuto
video Raffaella Rivi
tecnico audio-video Matteo Chiochetta
immagini e proiezioni tratte dai quadri di Dino Buzzati
costumi Chiara Defant
sarta Sara Gicoradi
musiche originali di Antonio Di Pofi
luci Enrico Berardi
macchinista Matteo Cicogna
elettricista Alberto Costantini
Produzione Teatro Stabile del Veneto