Si conclude la narrazione della mafia dal punto di vista femminile pensata da Eleonora Frida Mino e scritta con Roberta Triggiani, un lavoro di ricerca e “messa in poesia” che restituisce la parola alle protagoniste – spesso poco note – delle vicende mafiose.
Lo spettacolo riassuntivo del 28 aprile alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino ha riproposto una selezione dei reading tratti dai tre precedenti, riproducendo lo stesso spirito sinestetico e sublime che li ha caratterizzati: il tappeto sonoro eseguito dal violino di Giulia Sabba e dalla fisarmonica di Matteo Castellan aggiunge tensione alle storie di mafia raccontate con grande coinvolgimento da Mino, prendendo forma sulle tele vuote dipinte dal vivo da Giulia Salza, sotto le luci disegnate da Simona Gallo. Il silenzio, come parte integrante della colonna sonora suonata dai due strumenti, incide un senso di sacralità e profondo rispetto per le innumerevoli vittime di mafia che hanno incrociato la strada delle protagoniste.
In introduzione, Eleonora Frida Mino richiama l’affermazione di Giovanni Falcone per cui la mafia non è altro che un fenomeno umano: in quanto tale, un fenomeno che ha avuto un inizio e uno sviluppo, destinato ad avere una fine. L’unità minima del tempo tragico, dunque, che si rispecchia nella tripartizione dei punti di vista scelti dall’autrice: figlie, carriere e madri di mafia.
Alla prima categoria appartiene la storia di Denise Cosco, figlia di un boss della ‘ndrangheta sottratta dalla madre Lea Garofalo al controllo del marito, raccontata nell’interpretazione delle sue lettere: un personaggio positivo che ha compreso i rischi e il coraggio della madre, testimone di giustizia che ha scontato duramente la decisione di mettersi contro il potere del boss mafioso Carlo Cosco, un personaggio contrapposto alla figura dibattuta di Lucia Riina, la cui carriera di pittrice intende prevalere sulla responsabilità dei crimini commessi dal padre.
Contrariamente all’opinione comune che considera le “donne di mafie” niente più che figlie o madri, Lucia rappresenta un aspetto del fare carriera nonostante la mafia. L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal racconto di Emanuela Loi, già portato alla Casa Teatro Ragazzi in occasione della presentazione di stagione dello scorso settembre: appena venticinquenne, la giovane poliziotta sarda vanta almeno due primati, essendo stata tra le prime donne a essere ammesse nel corpo di polizia e la prima e rimanere coinvolta nella strage compiuta per assassinare Paolo Borsellino.
Infine, la rirpoposizione della storia di Giovanna Cannova, madre che ha preferito anteporre la fede per la cultura mafiosa all’amore per la figlia Rita Atria, divenuta testimone di giustizia come la cognata Piera Aiello dopo l’omicidio del fratello Nicola: un finale amaro, che lascia ben poca speranza di poter raggiungere quella “fine” della mafia auspicata da Falcone, come se il fenomeno mafioso fosse una tragedia destinata ad esaurirsi nella catarsi dopo il calar del sipario.
Ma la narrazione di Eleonora Frida Mino intende mantenere alta la speranza, accennando ad altre vicende raccontate lungo la trilogia come quella di Suor Carolina Javazzo e Maria Stefanelli, personaggi positivi al pari di Denise Cosco ed Emanuela Loi. Le tre età della mafia, incarnate dalle figura della figlia, della donna in carriera e della madre, sono in ultima istanza uno sguardo ottimista a un futuro privo di quella condizione di paura, prevaricazione e prepotenza che continua a macchiare l’identità del Paese.
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Antigone 3.0
di e con Eleonora Frida Mino
testi di Eleonora Frida Mino e Roberta Triggiani
fisarmonica Matteo Castellan
violino Giulia Subba
dipinti dal vivo Giulia Salza
luci Simona Gallo