OPER.A 20.21, la stagione lirica della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento, chiude il cartellone 2017-2018 Escape from reality con La Traviata, coprodotta col Teatro Regio di Parma. L’intero allestimento è affidato a una squadra di giovani artisti, occasione fresca e insolita nel gerontocratico panorama teatrale italiano. Curiosamente, con questo titolo, invece di fuggirla, sul palco ritroviamo la realtà. Andrea Bernard, regista bolzanino, rilegge il capolavoro verdiano in chiave contemporanea, incentrandolo su depressione ed egoismo, piaghe sociali del mondo odierno. Violetta, infatti, è l’algida proprietaria della casa d’aste Valéry’s, dove a essere venduti sono i sentimenti più che le opere di Boetti, Rosseau il doganiere o Giacometti. La protagonista regalerà ad Alfredo una loro foto, in stile Nain Goldin, filo rosso che tornerà durante la storia. Bernard inserisce il dramma della mondana, sociopatica e farmacodipendente, e del suo amante eterno bambino nelle belle scene essenziali di Alberto Beltrame, eleganti e ben illuminate da Adrian Fago. Ognuno pensa a sé stesso, al proprio tornaconto personale, tanto che Alfredo, con già una nuova relazione in corso, si congederà da Violetta, stremata da farmaci, deliqui e catatonie. Nell’analisi di Bernard c’è spazio quindi solo per una manifesta ipocrisia e non per i sentimenti autentici. Se fin da subito tutti sono distaccati e spinti nelle azioni dai propri interessi, ecco che allora la festa chez Flora diventa un vorticoso speed date a cui segue un incontro di wrestling sulle coreografie di Marta Negrini.
Le idee di Bernard ci convincono, ma riteniamo ci siano margini di miglioramento se rivedrà la regia sotto la lente d’una maggiore sintesi. Come infatti accade spesso agli inizi della carriera, presi dall’ansia di voler dire troppo, s’incorre nel rischio delle cosiddette caccole, ovvero accorgimenti ridondanti che nulla aggiungono alla drammaturgia. Le citiamo: la permanenza di Létorières, Douphol e Obigny con cui Violetta brinda durante il cantabile Ah, forse è lui; Alfredo che guarda l’Uomo tigre su Dei miei bollenti spiriti; la comparsa di “doppi” durante il duetto Violetta-Germont e Di Provenza, dove appare un Alfredo bambino, scelte di michielettiana memoria; le proiezioni sulle pareti nel corso della festa spagnola e la profanazione, dissacrante, della foto per mezzo d’una manciata di bignè.
I costumi di Elena Beccaro creano piacevoli equilibri cromatici, seppur qualche dubbio permanga su quelli femminili per la festa da Flora, dall’evidente effetto tappezzeria.
Guida l’Orchestra Haydn il maestro Sebastiano Rolli, la cui direzione è tutta in salita dal secondo atto in poi. Ampiamente lirica, pulita, conta su ritmi sempre pertinenti e scelte oculate in modo da non mettere in difficoltà i giovani interpreti.
La compagnia di canto annovera alcuni vincitori del 55° Concorso Internazionale Voci Verdiane Città di Busseto tra cui, alla prima del 21 aprile, Isabella Lee e Carlotta Vichi. La Violetta di Isabella Lee possiede voce non grandissima che in alcuni momenti manca di corposità. Seppur l’esecuzione sia nel complesso corretta, il personaggio, sviluppando meglio l’interpretazione e la dizione, potrà guadagnarne in carattere. Raffaele Abete si riprende dopo la tensione del primo atto, delineando un Alfredo bamboccione, ma in fin dei conti non troppo ribelle al volere paterno. Germont è Marcello Rosiello, baritono dal timbro graffiato e autoritario, ma con qualche leggera incrinatura nel Di Provenza. Ben risolta la Flora di Carlotta Vichi, così come il tenebroso Douphol di Carlo Checchi. Alice Molinari è Annina a tratti stridula, ma voluminosa nella linea di canto. Lievi difetti d’intonazione nel Gastone di Pasquale Scircoli. Completano il cast Enrico Marchesini come Grenvil e Claudio Levantino quale Obigny.
L’Ensemble Vocale Continuum, diretto da Luigi Azzolini, si distingue per l’elevata professionalità.
Teatro sold out, pienone di giovani spettatori e successo per tutti.