con: Elio De Capitani e Federico Vanni
di: William Shakespeare
traduzione: Ferdinando Bruni
e con: Emilia Scarpati Fanetti, Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Alessandro Averone, Carolina Cametti, Gabriele Calindri, Massimo Somaglino, Michele Costabile
scene e costumi: Carlo Sala
musiche originali: Silvia Colasanti
suono: Giuseppe Marzoli
regia: Elio De Capitani e Lisa Ferlazzo Natoli
produzione: Teatro dell’Elfo
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La situazione globale della società oggi consente di sentire ancora più vicino e reale una rappresentazione del dramma del Moro di Venezia e forse, mai come in questo momento, capiamo la genialità di Shakespeare, la straordinaria attualità dei suoi testi e l’impatto psicologico che generano sulle generazioni da più di cinque secoli.
“Otello” è una tragedia che nasce nelle tensioni sotterranee dell’animo umano, sia individuali che collettive, non un dramma dalla gelosia (come a volte può essere stato interpretato riduttivamente), bensì la messa in scena della dannazione dell’Altro all’interno di una società borghese-puritana che rimuove ed espelle i mostri del proprio immaginario come proiezione verso il diverso. L’intenzione di Elio De Capitani e di Lisa Ferlazzo Natoli è quella di presentare al pubblico un “Otello” spogliato della tradizione, tornando al cuore del meccanismo drammatico, focalizzando l’attenzione su tutti quei conflitti che rendono questo un dramma inquietante, capace di smuovere le coordinate conoscitive, ideologiche ed immaginarie di tutte le epoche: spirito vs carne, successo vs dannazione, censura vs desiderio, Io vs Altro, amore vs morte, bianco vs nero. Il dialogo detta le regole del gioco e l’arte dell’ermeneutica rende questo testo perturbante come un racconto di suspense. La rilettura contemporanea di Ferdinando Bruni rimane sensibile alla bellezza dell’endecasillabo e all’uso sagace di figura retoriche quali la litote e l’iperbole, ma è libera da ogni inclinazione letteraria ed attenta all’alternanza di lingua aulica e popolare per avvicinarsi alla viva fluidità del parlato. La soave arte della parola è anche l’arma del protagonista nascosto della vicenda, Iago, personaggio machiavellico che come un burattinaio gioca con i personaggi, ingannandoli con la sua capacità oratoria e, come un untore ideologico, insinuando nella mente di tutti i veleni che sono radicati nella sua psiche; nessuno è immune al suo contagio, neanche lo spettatore. Nell’adattamento di De Capitani, Iago è interpretato da un fantastico Federico Vanni, attore fisicamente fuori dalla tradizionale trasposizione interpretativa che vede la figura dell’alfiere segaligna e “cattiva” già esteriormente; egli è un personaggio che rassicura già all’impatto visivo. Inoltre la sua mimica è totale: ogni parte del corpo si presta al gioco dell’inganno, ogni ammiccamento, ogni smorfia, ogni sguardo, ogni ghigno, il tono sarcastico e lucido di ogni monologo.
Iago ed Otello sono legati da quella che Hegel definisce la dialettica servo-padrone: dipendono l’uno dall’altro per la definizione della propria identità. Otello si lascia aperto a qualsiasi gioco di Iago contro di lui: l’assoluta trasparenza del suo personaggio, la sua solidità intellettuale, il suo valore militare celano in realtà un’insicurezza di fondo, che lo porta più ad essere geloso di Desdemona piuttosto che diffidente di Iago, perché più che cadere nelle trappole di quest’ultimo, frana nei suoi dubbi interiori che lo portano a vedere il marcio nella purezza: si crogiola nell’incertezza di sé perché soffre la propria identità. “Otello ci ricorda che, oggi come ai tempi di Shakespeare, il veleno sociale del razzismo, della sessuofobia, del femminicidio e della misoginia ci riguardano profondamente”, afferma De Capitani.
Sulla dicotomia bianco/nero giocano anche le scene di Carlo Sala che moltiplicano il chiaro e lo scuro attraverso grate, ori e trasparenze di grandi sipari, sottolineati da luci ed ombre. Tende muovono lo spazio scenico tramite un sistema di tiraggi, rappresentando scene velate, nascoste, cospirazioni ed intrighi: anch’esse obbediscono all’andamento improvviso ed allo stato d’animo/emotivo dei personaggi. Non ci sono pareti che possono trattenere o fermare il precipitare degli eventi: la deformazione dello spazio è legata alla fragile consistenza delle relazioni.
Le musiche di Silvia Colasanti con l’ausilio di corde e percussioni contribuiscono all’azione mimica e verbale: l’atmosfera creata è melodica, si svela, si ricompone come un’eco, assecondando le linee drammaturgiche dell’azione.
Tre ore di spettacolo che passano veloci in-seguendo la filosofia del teatro come arte dell’incontro, dove attori e pubblico sono coinvolti in un circuito esistenziale ed emotivo.