“Ci ha lasciati. Se n’è andato. Andato dove? Circondiamo i morti di pudiche perifrasi. Forse perché non sta bene proclamare ai quattro venti il nostro attaccamento alla vita? Se ne vanno perché noi restiamo? Anche a chi appare vuoto, in cielo appende, come in una bacheca, i post-it degli scomparsi. Chissà cosa direbbe di noi: da lassù. Che ci guarda. Che se ci vedesse, sarebbe contento. Comunque ci deve essere, Chissàdove, una porta che si chiude mentre si apre, un andirivieni incessante. Difficile tenere il conto. Ma è ancora vivo? Domandiamo, un po’ sorpresi, un po’ perplessi. E noi? Per tutti quelli che si domandano se siamo ancora vivi? Dove siamo stati? Chi è uscito da quella porta, e chi ci è entrato? Non lo vedo più, chissà che fine ha fatto. Perché proprio una «fine»? E se avesse ricominciato da capo, alle nostre spalle? Che «fine», allora, avremmo fatto noi? (Stefano Geraci)
Uno spettacolo da non perdere, che non finisce mai di stupire e interrogarci, quello scritto da Stefano Geraci assieme a Roberto Bacci e interpretato da Giovanna Daddi e Dario Marconcini, che ha debuttato in prima nazionale al Teatro Era di Pontedera, punto di riferimento imprescindibile del teatro Toscano e nazionale, fondato idealmente dal sodalizio artistico degli stessi Bacci e Marconcini, che affonda le sue radici negli anni ’70, nato dall’esperienza del Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale, ispirato all’Odin Teatret di Eugenio Barba, al Teatro di Jerzy Grotowskinel e non ultimo al Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina, avanguardia teatrale statunitense, che fa propria la ricerca del rapporto tra vita comune e arte, del legame tra parola poetica che accompagna e trasfigura il gesto teatrale e della volontà allo stesso tempo di accorciare o problematizzare il divario tra realtà e messinscena. Inoltre questo spettacolo chiuderà la stagione del Teatro Studio Mila Pieralli di Scandicci, dall’11 al 13 maggio, nell’ambito della XXV edizione del Festival Fabbrica Europa.
Un lavoro che sicuramente risente di questa ispirazione originaria, ancora pulsante nel sotto testo delle esperienze artistiche dei protagonisti, ma allo stesso tempo non ne è schiavo. Il testo prende spunto dalle reminiscenze, i sentimenti, il vissuto degli attori Dario Marconcini e Giovanna Daddi, coppia nella vita quotidiana come Julian Beck e Judith Malina, e come loro coppia ancor più profondamente e visceralmente nella vita del teatro. Questo è il punto di partenza esistenziale della vicenda, ma è solo la fonte da cui scaturiscono poi le successive domande, sospese in un non-luogo, che la vita come il teatro cercano drammaticamente di rappresentare. Un viaggio che si protende di giungere alla meta, ma che non può che rimanere in quel quasi, da cui l’individuale di un certo biografismo diventa monito universale, specchio per l’individuo di riconnettersi a quelle questioni che lo sovrastano dal nascondimento, di situarsi in quella prospettiva straniante che guarda alla tangibilità del proprio immediato vissuto come alle scene provenienti da un non ben precisato Chissàdove.
Il teatro e la vita si sovrappongono, si manifestano nel loro essere soglie a picco sull’altrove e da questo baratro riecheggiano scene, che ci parlano della vita attraverso il teatro e del teatro attraverso la vita. Un caleidoscopio di ricordi, oggetti, costumi, etc. provenienti dalla vita e transitati sulla scena del teatro, che magicamente ci pongono in questo flusso che proviene e va, come una marea, dal Chissàdove al Chissàquando e viceversa. Spazio e tempo si eclissano di fronte alle ombre create nelle proprie vite, ai resti immaginari che fluttuano nel grembo di un teatro, che assomiglia sempre più ad un sogno, all’alba di una nuova vita o all’oblio di una vissuta.
“Un attore nell’incarnare un personaggio, quale che sia, Prospero o Rogozin, Medea o Antigone, mette sempre qualcosa di sé; ma in questo testo non esiste nessun filtro protettore: non c’è il personaggio dentro il quale nascondersi. […] Affrontiamo Quasi una vita come un viaggio nel passato e nel futuro, o meglio come un viaggio nel corso del tempo”. (Dario Marconcini e Giovanna Daddi)
Un patto Faustiano con le molte presenze che affollano la mente di un uomo, come anche il carattere di un personaggio, infine la scena stessa del teatro, immergendosi inevitabilmente nella vita dello spettatore, coinvolgendolo da una distanza resa inesistente, o in un certo senso sempre stata illusoria, nella continuità che procede dall’assenza di un confine reale tra palco e pubblico, quasi uno spazio assoluto, ossia slegato da tutto ciò che potrebbe essere un discrimine e legato quindi ad ogni oggetto o soggetto che vive la sua quasi vita nel limbo delle rappresentazioni.
In questo caso il teatro e la vita si arrendono, smettono di porsi come verità di fronte all’ignoto, si spogliano del loro essere o credersi custodi di una possibile e plausibile interpretazione di ciò che non si conosce e che sta al di là dei territori della scena come del quotidiano. Nel rivivere ciò che si è vissuto, ognuno vive indifeso di fronte all’assenza che ci attende, non può che abbandonarsi a questo interrogativo. Il teatro e la vita si confessano come intime e amabili menzogne. Chissà dove e chissà quando certi quesiti messi in scena nella vita e vissuti nel teatro avranno le loro risposte non è dato sapere. Non resta che l’incoscienza felice di vivere e recitare in questo crocevia di incerti confini e sconosciute destinazioni.
“Ciò che resta di noi è ciò che gli altri ricordano nel tempo che a loro resta. La domanda che ci portiamo dentro e nello spettacolo è quella che riguarda l’attraversare l’ultima porta che ci resta nascosta oltre la quale ci attende un incerto viaggio nel Chissàdove. È quasi una vita quella che ci è data e, mentre la viviamo, così occupati a rincorrere ciò che resta da essere e da fare, il Teatro può interrogarci sul futuro di ciò che siamo stati”. (Roberto Bacci)
Drammaturgia Stefano Geraci, Roberto Bacci Con Giovanna Daddi, Dario Marconcini, Elisa Cuppini, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini Musiche Ares Tavolazzi Allestimento Sergio Zagaglia, Stefano Franzoni, Fabio Giommarelli Assistente alla regia Silvia Tufano Scenografa pittrice Chiara Occhini Assistente Costumi Chiara Fontanella Regia, scene e costumi Roberto Bacci Produzione Fondazione Teatro della Toscana Foto di scena Roberto Palermo