di Davide del Grosso
da Andrea Pazienza
con Carola Boschetti, Cinzia Brogliato, Davide del Grosso
scene e costumi Francesca Biffi, Marzia Cassandro
regia Claudio Orlandini
assistente alla regia Chantal Masserey
luci Alessandro Bigatti
produzione Comteatro
con il contributo di “Next-laboratorio delle idee per la produzione e la distribuzione dello spettacolo dal vivo lombardo. Edizione 2014”
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L’arrivo altalenante della primavera è come un passaggio travagliato dal buio alla luce, dall’inverno alla rinascita.
Ecco che le condizioni atmosferiche e il ritmo del loro procedere rivelano delle sfumature ben profonde del vivere umano. Anche noi come la natura viviamo momenti di nascosto letargo, accoccolati più o meno scomodi nelle paure ed insicurezze che ci appartengono, cercando ogni volta il passo che ci porti verso la luce. Alla ricerca della più libera manifestazione delle essenze, delle attitudini, degli affetti.
La difficoltà di essere e di dialogare con le strutture di questo nostro mondo è nocciolo fondamentale del personaggio di Pompeo, con cui Andrea Pazienza dà voce a un’umanità che allo stesso tempo si illude e disillude, in preda ad un nero circolo di droga, amore negato, amore agognato, abbandono di sé.
Lo ritroviamo disegnato sul palco dalla compagnia Comteatro, che con una notevole cura per l’immagine scenica, mescola i toni del rosso, del verde e del nero facendoci piombare con un turbinio di atmosfere e apparizioni nell’incubo quotidiano del protagonista. Due armadi camerini sono le porte di un inquietante teatrino delle meraviglie, da cui compaiono gli altri abitanti del mondo di Pompeo, ma anche visioni lugubri, voci…
Dal punto di vista testuale e registico purtroppo, lo spettacolo cade in un eccesso di racconto e di segnali, lasciando troppo poco respiro all’evocazione.
Lo spazio in cui di solito il lettore può incontrare il fumetto camminando anche con la propria immaginazione, qui non ha molta possibilità di esprimersi. E la messinscena risulta pesante, nonostante la sensibile accuratezza.
Anche l’uso della parola, se a volte è ben azzeccato, spesso perde di vista la concretezza pur simbolica del linguaggio di Pazienza, allungando i toni in una direzione fin troppo retorica.