Al Carignano di Torino approda la riflessione sulle condizioni umane pensata e scritta da Angela Demattè e Carmelo Rifici: il lavoro di ricerca della drammaturga e del regista sconfina decisamente il puro linguaggio teatrale, indagando la natura violenta dell’essere umano, nel tentativo di individuare in essa l’origine della civiltà. Ifigenia, liberata si apre al pubblico come una sfida intellettuale allo spettatore.
Il sacrificio di Ifigenia per permettere ai greci di partire alla volta di Troia e combattere la guerra scatenata dal “rapimento” di Elena è soltanto la premessa e l’antefatto del percorso tracciato da Demattè e Rifici: è facile (banale) immaginare gli autori confrontarsi l’un l’altro nel cercare i punti di congiunzione tra la tragedia di Euripide e i colleghi Sofocle ed Eschilo e i connazionali Eraclito e Omero, nonché con l’Antico e il Nuovo Testamento e le opere ben più recenti di Nierzsche, René Girard e Giuseppe Fornari. È facile immaginare le loro difficoltà di trasformare un simile lavoro di ricerca bibliografica in testo teatrale, scegliendo poi di rappresentare il tentativo stesso nella carne dei personaggi della Drammaturga (Mariangela Granelli) e del regista (Tindaro Granata).
Date le premesse, non poteva essere altrettanto facile riuscire a ricavare dal calderone di tale ricerca testuale uno spettacolo teatrale effettivo: il format metateatrale della prova aperta al pubblico assume le sembianze di una tragedia “commentata” dalle didascalie degli autori, con il delicato sfondo sonoro di più strumenti suonati da Zeno Gabaglio. La tragedia in sé, continuamente interrotta da errori ripetizioni tentennamenti che ne fanno appunto una prova aperta, perde la catarsi che restituisce un significato all’altrimenti non necessario sacrificio di Ifigenia (Anahì Traversi), lasciandone la responsabilità alle congetture accademiche dei personaggi di Granelli e Granata: viceversa, spiccano i personaggi effettivi della tragedia, totalmente introiettati dagli interpreti.
La tragedia del sacrificio di Ifigenia diventa la tragedia di una compagnia di attori che non riesce a spiegarsene il senso: questo l’espediente metateatrale che permette allo spettacolo di affrancarsi dall’essere uno sterile dibattito (in termini scenici) e di assurgere piuttosto a incanto scenografico. Le proiezioni video che svettano sulla scenografia asciutta disegnata da Margherita Palli costituiscono soltanto ulteriori didascalie a ciò che la potenza attoriale degli interpreti riesce, da sola, a esprimere. L’odio, l’invidia, la collera della natura umana, a partire dal primo “omicidio” della storia per mano dell’homo erectus, passando per la Genesi e la rilettura del Peccato originale come un fatto di sangue.
Si rischia di banalizzare la difficile operazione che Demattè e Rifici sono riusciti a tradurre in spettacolo: per merito o causa di tutti i suoi livelli di profondità, Ifigenia, liberata rischia d’altra parte di essere apprezzato solo dagli addetti ai lavori, agli accademici e agli insanabili sognatori che riescono a scorgere la versa poesia dietro la scorza dell’ermetismo.
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Ifigenia, liberata
ispirato ai testi di Eraclito, Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide, Antico e Nuovo
Testamento, Friedrich Nietzsche, René Girard, Giuseppe Fornari
progetto e drammaturgia Angela Demattè e Carmelo Rifici
regia Carmelo Rifici
con Caterina Carpio, Giovanni Crippa, Zeno Gabaglio, Vincenzo Giordano, Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Igor Horvat, Francesca Porrini, Edoardo Ribatto, Giorgia Senesi, Anahì Traversi
scene Margherita Palli
costumi Margherita Baldoni
maschere Roberto Mestroni
musiche Zeno Gabaglio
disegno luci Jean-Luc Chanonat
progetto visivo Dimitrios Statiris
produzione Lugano InScena – LAC Lugano Arte e Cultura – Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa e Azimut, in collaborazione con Spoleto Festival dei Due Mondi, Theater Chur
con il sostegno di Pro Helvetia, Fondazione svizzera per la cultura