Se ci interrogassimo sulle scoperte rivoluzionarie, ci sorprenderemmo nell’apprendere che alcune sono di origine femminile.
Augusta Ada Byron Lovelace è stata la donna geniale e visionaria che ha immaginato un algoritmo per far eseguire a una macchina calcoli veloci. Figlia di Lord Byron, massimo poeta inglese, e della studiosa di matematica Annabella Milbanke, rappresentò la summa del pensiero scientifico e dell’ispirazione poetica con la “poesia dei numeri”.
Nella sua breve vita, morì nel 1852 a 36 anni la stessa età in cui era scomparso il padre, sullo sfondo della prima rivoluzione industriale inglese, epoca che non consentiva libertà di iniziativa alle donne, elaborò un linguaggio per far elaborare i dati immessi in una macchina, cioè il software.
Tra le tribolazioni di varie malattie, a 6 anni problemi alla vista per la cefalea e a 15 un anno paralizzata per il morbillo, la sua attitudine al ragionamento logico la portò a collaborare con il matematico Charles Babbage, cui la unì passione intellettuale e attrazione erotica, che lavorava al progetto di una macchina multifunzione che Anna pensò si potesse programmare con schede perforate, già utilizzate per i disegni dei telai meccanici di Jacquard. La Macchina Analitica, esposta al Science Museum di Londra, è la progenitrice del computer realizzato un secolo dopo da Alan Turing.
La visionarietà futurista fece intuire alla giovane donna la valenza di quella che definiva “scienza delle informazioni”, nello sviluppo scientifico che avrebbe provocato un profondo cambiamento culturale e proiettato verso la vagheggiata intelligenza artificiale.
Scritto e diretto da Valeria Patera e rappresentato nel 2015 in occasione del bicentenario della nascita, lo spettacolo si inserisce nel progetto “Le donne erediteranno la terra” ideato da Viviana Toniolo direttrice artistica del Teatro Vittoria, che compendia storie di donne importanti che hanno segnato il corso della storia cambiando la realtà contemporanea.
L’allestimento intreccia recitazione, proiezioni video in flashback in cui Anna profetizza la rivoluzione tecnologica con Gianluigi Fogacci che interpreta il concreto Babbage, e l’impianto musicale di Francesco Rampichini, suscitando empatia e immedesimazione. Galatea Ranzi è fragile e vigorosa nell’interiorizzare la figura di Anna che, percependo di vivere i suoi ultimi giorni, rievoca l’infanzia travagliata con la madre che pretendeva di distruggere il suo affetto per il padre mai conosciuto, quel lord Byron celebrato poeta romantico ma uomo dissoluto di cui temeva che la bambina ereditasse l’inclinazione poetica, orientandola verso studi matematici affidandone l’educazione all’astronoma Mary Sommerville.
Le malattie, l’ossessiva presenza materna, la nostalgia del padre di cui sentiva “l’impronta indelebile” dell’anima e accanto al quale volle essere sepolta, il monotono matrimonio col conte di Lovelace, la nascita di tre figli che riteneva la distogliessero dai suoi interessi, la dipendenza dall’oppio e dal laudano per lenire il dolore non le impedirono di essere irrequieta e libera, di alimentare le intuizioni ed esprimere la precoce genialità che si esaltava nel coniugare matematica e sogni nella “scienza poetica”.
Un racconto toccante e sorprendente mentre percepisce la vita scivolare via, vibrante di romanticismo e razionalità, che dimostra come le donne siano capaci di essere pioniere anche in ambito scientifici e tecnologici, prigioniere tuttavia di un pregiudizio di genere non solo nell’epoca vittoriana. “Io sono una profetessa…se potessi rinunciare al mio cervello abbraccerei al fede cieca che sarebbe di conforto, ma non voglio rinunciare al mio cervello”.