di Italo Calvino e Dino Buzzati
regia di Lorenzo Loris
con Paolo Bessegato, Pietro Bontempo
installazione disegni Lorenzo Vergani
scena Daniela Gardinazzi
costumi Nicoletta Ceccolini
luci Alessandro Tinelli
interventi video Toison
consulenza musicale Ariel Bertoldo
collaborazione ai movimenti Barbara Geiger
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Così tra questa / Immensità s’annega il pensier mio: / E il naufragar m’è dolce in questo mare.
Non posso trovare parole mie, parole nuove, per avvicinarvi anche solo un istante alle tematiche sottili e altrettanto profonde sondate da Lorenzo Loris nel suo ultimo spettacolo. Forse parole diverse da quelle dei grandi autori della letteratura non ci sono, per tentare gli eterni racconti che vedono l’uomo confrontarsi con l’immenso.
Egli cammina verso il buio, lasciandosi pian piano alle spalle lo spettro del visibile, i territori dell’io cosciente, per scivolare nei paesaggi azzurri e blu dell’onirico. Lì, risiedono le passioni più recondite, le paure ancestrali, le frustrazioni, che gli fanno digrignare i denti nel sonno o compiere atti violenti, irreparabili.
Lì avviene l’incontro con la Luna, il tempo delle maree, con l’universo sconfinato, notturno e delicato del Femminile, che lo fa sognare. L’uomo è pronto a spogliarsi delle proprie paure, che da sempre accompagnano il desiderio, e a tuffarsi volando nei cieli della contemplazione, della ricerca dell’amore, di un’anima finalmente svincolata dai lacci della razionalità e del cinismo.
Questo è solo uno scorcio sul mondo tematico che Le cosmicomiche […], in scena ancora al Teatro OUTOFF, vorrebbero comunicare allo spettatore.
Tutto sarebbe pronto: i testi sublimi; la scenografia accurata, ma non leziosa, immaginifica; una scelta di musiche, luci ed effetti video direi preziosa; impianto registico interessante, movimenti scenici affatto scontati.
Tutto pronto per l’uomo, che potrebbe spogliarsi e tuffarsi.
Non si capisce se per mancanza di fiducia o per orgoglio o ancora per abitudine o per mancata indicazione, però, i due attori seppur esperti non si abbandonano profondamente al tema trattato, rimanendo su un piano di recitazione quasi esclusivamente vocale e individuale. Nel senso che la voce, purtroppo, sembra rimanere avulsa dal delicato e sensibile contesto scenico e troppo spesso declinata in tonalità che chiaramente si allontanano dalle parole dette; facendo raggiungere al pubblico un certo affanno, invece di guidarlo piacevolmente lungo gli apici poetici del testo.
Quasi che, di fronte alla profonda tematica del rapporto con il femminile, proprio gli attori non siano riusciti a mettere da parte le sicurezze del razionale, per naufragare dolcemente tra le insenature dell’anima.
Come in un meta teatro, citando lo spettacolo concludo malinconicamente che non tutto quello che si desidera si può ottenere.
Alcune intuizioni della messa in scena rimangono una scoperta toccante, che invito tutti voi a sperimentare.