Conclusa con Traviata la stagione lirica OPER.A 20.21 della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento, torniamo nell’amatissima Bolzano per Die Csárdásfürstin, una coproduzione del Vereinigte Bühnen Bozen e della Fondazione stessa. Occasione ghiotta perché l’operetta è genere ingiustamente snobbato dai maggiori teatri italiani, nonostante qualche sporadica ripresa di Vedova allegra o Fledermaus ampiamente documentate su questo portale.
Die Csárdásfürstin debuttò a Vienna nel 1915, dieci anni dopo Lustige Witve e in pieno conflitto mondiale, esorcizzandone per un attimo l’apocalisse. Successo clamoroso, 533 repliche in due anni, nel ruolo principale Mizzi Günther, la prima Glawari, poi Irene Fidler. L’ungherese Imre Kálmán, assieme a Franz Lehár maestro della cosiddetta “età d’argento dell’operetta viennese”, mantiene vivo il legame con la terra d’origine attraverso la calcata enfasi coloristica. La partitura della Csárdásfürstin unisce infatti influenze magiare, valzer e una leggera civetteria in un polimorfismo davvero suggestivo, forse meno elegante rispetto a quello di Lehár, ma altrettanto coinvolgente e orecchiabile. Ascoltiamo duetti come “Tausend kleine Engel singen”, “Mädchen gibt es wunderfeine” e “Weißt du es noch?” e scopriremo che musica e parole conferiscono ai sentimenti un cupo romanticismo quasi da opera, distaccandosi completamente dalla frivolezza degli amori di Hanna e Danilo. Rispetto ad essi, Sylva e Edwin sono assai approfonditi. Il libretto, collaborazione tra Béla Jenbach e Leo Stein, trasuda erotismo e desiderio, parendoci meno sciocco rispetto a quello della Witve, di cui Stein fu coautore.
All’Orpheum di Budapest si festeggia l’addio della stella locale, la Csárdásfürstin Sylva Varescu, pronta a partire per gli Stati Uniti in cerca di fortuna artistica. Il Principe Edwin, innamorato di Sylva, si impegna a sposarla entro otto settimane, ma verrà richiamato a Vienna per le nozze con la Contessa Stasi. Dopo equivoci, corteggiamenti, bugie e agnizioni, i due amanti potranno coronare il loro sogno.
Proposta rigorosamente in tedesco, questa Csárdásfürstin vede impegnati la drammaturga Ina Tartler e il regista Georg Schmiedleitner in una rilettura moderna e convincente. Sovente avvolta in abiti succinti di latex o di pailettes, Sylva qui è un’algida vampiressa dal cuore tenero. La regia enfatizza la sensualità del testo, inserendo nell’azione una certa dose di irriverente trasgressione, dissacrando, forse troppo, tramite controscene i momenti più lirici. I personaggi mantengono vivo e spigliato il ritmo, grazie anche al talento degli interpreti. Un plauso va ai ballerini-cantanti Aloysia Astari, Andrea De Majo, Julia Gampi, Gregor Krammer, Bernadette Leitner, Sarah Merler, quasi sempre sul palco, impegnati non solo nelle coreografie di Marcel Leemann.
Lo spazio creato da Stefan Brandtmayr è esteticamente curato ed efficace. Interessante nell’Orpheum il riferimento al cervo volante, insetto polisemico. Nell’iconologia medievale rappresentava, per somiglianze morfologiche, la nera presenza del Maligno, mentre nell’oniromanzia preannuncia un’inquietante sorpresa negativa del destino. C’è tutto questo nelle scene di Brandtmayr, una sorta di celebrazione underground chic che non lesina citazioni da Cabaret o Rocky Horror, accuratamente illuminate dalle luci di Micha Beyermann. Vanno in questo senso i costumi di Cornelia Kraske, sado-maso quelli del primo atto, colorati a tinte pastello i successivi.
Philipp von Steinaecker è alla guida dell’Orchestra Haydn che in questo repertorio vanta numerose incursioni, pure concertistiche. Steinacker fa certamente rivivere i fasti dell’operetta, ma manca di slancio in alcuni duetti tra Sylva ed Edwin. Travolgenti gli interludi orchestrali, ricchi nelle agogiche e nei colori, e i brani d’assieme “Die Mädis, die Mädis, die Mädis vom Chantant”, “Mädel guck!” e “Ja so ein Teufelsweib”. Ingiustificabile a nostro avviso l’inserimento di “Vergangenes” dai 5 Orchesterstücke op.16 di Schönberg prima del terzo atto, interpolazione che rallenta la tensione e nulla aggiunge al contesto.
Nel cast spicca Marie Smolka, Stasi dalla voce ricca d’espressione, ottima nell’emissione e chiara nel fraseggio che trova nello “Schwalbenduett” il momento più intenso. Altalenante la giovane Talia Or nel ruolo eponimo. Dopo un’esecuzione carente in volume e in acuto, migliora dal secondo atto, conferendo particolare nobiltà e sostanza al personaggio. Paul Schweinester è Edwin dalla voce pulita, discreta nel registro alto e dal fraseggio pertinente. Apprezzabile Boni quello di Christian Kotsis, quanto l’Eugen di Peter Schorn. Completano la compagnia l’Anhilte impeccabile di Brigitte Jaufenthaler, Feri di Andreas Jankowitsch e il Leopold Maria comicissimo di Georges Kern.
Il coro del Conservatorio Monteverdi di Bolzano, preparato da Sandro Filippi, sta sul pezzo.
Pubblico scarso, applausi freddi in corso di recita, ma successo per tutti alla serale del 26 maggio.