We Have a Dream, in ricordo dei cinquant’anni dalla morte di Martin Luther King, è il titolo del Ravenna Festival 2018, giunto oggi alla ventinovesima edizione. L’intento è esplorare il contributo fornito dagli States alla cultura occidentale e dare al contempo spazio alla resilienza della musica lì dove la libertà è negata.
Tra i primi appuntamenti c’è Kiss Me, Kate che arriva a Ravenna settant’anni dopo la prima del 2 dicembre 1948 allo Shubert Theatre di Philadelfia. Partorito da Cole Porter dopo un periodo di depressione causato da alcuni fiaschi, Kiss Me, Kate fu subito un successo. Con 1077 repliche e critiche favorevoli, divenne subito una hit, tradotta in più di 12 lingue e rappresentata ovunque, fino ad aggiudicarsi cinque Tony Awards nel 1949.
Finzione scenica e vita vera si mescolano nel libretto di Bella e Samuel Spewack, oltreché nelle lyrics di Porter, creando un gustoso parallelo tra arte e sentimento. L’azione prende spunto dall’allestimento di The Taming of the Shrew al Theatre Guild nel 1935 da parte di Alfred Lunt e Lilli Louise Fontanne, coppia di attori bisticcioni che per quarant’anni dominò la prosa americana. I due rivivono nei protagonisti Fred e Lilli, ex marito e moglie, impegnati a Broadway con una versione musicale della Bisbetica domata. In questo gioco di scatole cinesi, o “teatro dei cerchi concentrici” come scrive Aloma Bardi, non manca nulla: la partitura riveste di sensualità, toni frizzanti e spensierata coralità la doppia vicenda.
Opera North, dopo il debutto a Leeds, a Londra ed Edimburgo, approda in prima nazionale a Ravenna e apre col botto. La produzione è perfetta. Tutto è scorrevole e oliatissimo, senz’alcun intoppo e calo di tensione, rivelando l’elevata specializzazione di Opera North nel repertorio. L’edizione critica è curata da David Charles Abell che ha reperito i manoscritti originali a Manhattan, oltre ad averne scoperti di nuovi. La regia di Jo Davies, ripresa da Ed Goggin, tiene le fila di quasi cinquanta persone, definendo ciascun carattere con gusto e stile, in un approccio serio e rispettoso dell’originalità dell’autore. Valorizza inoltre gli interpreti, costantemente impegnati in danza, canto e recitazione, i quali dimostrano tempra robusta nel portare a termine la recita senza alcuno sforzo. Il design di Colin Richmond ricrea, con velocissimi cambi a vista, gli spazi di un teatro di fine anni Quaranta, il backstage, i camerini, gli atri, e non sono da meno le meravigliose scene cinquecentesche per la play into the play. Coloratissimi i costumi dello stesso Richmond, oltreché curatissimi nei dettagli. Le luci di Ben Cracknell sono complemento indispensabile all’ottima riuscita generale. David James Hulston riprende le coreografie di Will Tuckett, coinvolgenti e ben rese dal formidabile corpo di ballo e artisti.
James Holmes dirige l’Opera North Orchestra con piglio superbo, incalzante e attento ai cantanti. Il suono è pulitissimo, così come salda è la tenuta degli orchestrali nel continuo variare dei ritmi e delle dinamiche. Raddoppi di fiati e ottoni, pianoforte, celesta, arpa, mandolino, chitarra e una sezione completa di percussioni ingigantiscono la compagine, come da vera tradizione di Broadway. Spumeggianti “Another Op’nin’ Another Show” e “Too Darn Hot”, inizi d’atto davvero avvincenti.
Dieci a lode a tutto il cast. Stephanie Corley è Lilli irresistibile, diva ma non troppo, essendo il ruolo facile ad eccessivi isterismi soprattutto in brani come “I Hate Men”. Altrettanto valido il Fred di Quirijn de Lang, appassionato baritono quasi sempre in scena, abile nell’alternare il registro comico a quello romantico. Zoë Rainey è la classica voce da musical anni Cinquanta, Lois che ci ricorda Debbie Reynolds e le migliori interpreti delle commedie musicali di Hollywood. “Why Can’t You Behave” e “Always True to You (In My Fashion)” i suoi momenti migliori, resi con ampio respiro. Alan Burkitt è Bill che incanta con la sua ineccepibile “Bianca”, ove inserisce un maestoso assolo di tip tap. Aiesha Pease, black voice potentissima, è Hattie di grande carisma. Stephane Anelli si ritaglia un piccolo trionfo personale da vero crooner in “Too Darn Hot”. Non sfigurano l’Hortensio di Jack Wilcox e il Gremio di Pier Bate. Sugli scudi i due gangster Joseph Shovelton e John Savournin, che ci regalano l’attesissimo “Brush Up Your Shakespeare”, gigionesco valzer che dileggia i tioli shakespeariani in divertenti giochi di parole. Completano professionalmente la compagnia James Hayes, Malcolm Ridley, Adam Tench, Tatenda Madamombe e DeAngelo Jones.
L’Opera North Choir, preparato da Oliver Rundell, è semplicemente perfetto.
Sala al completo, pubblico letteralmente elettrizzato, applausi calorosi per tutti alla serale del 9 giugno.