A Firenze, in Piazza Santissima Annunziata, una sera di maggio ho incontrato la poesia. Davanti, sui gradini dell’Istituto degli Innocenti, ho sì i poeti del nucleo fiorentino del MEP, ma i loro nomi sono sconosciuti a me e a chiunque altro. Soltanto una sigla alfanumerica identifica gli autori dei componimenti incollati sui muri di 61 città in Europa, da Copenaghen a Taranto, da Potenza ad Amsterdam, e sul sito Internet www.movimentoemancipazionepoesia.tk. Quasi che le parole, attraverso il Movimento per l’Emancipazione della Poesia, prendano una vita autonoma dalla penna o dalla carta. “Le poesie sono firmate dal MEP: il Movimento è l’autore”. “Il poeta non è protagonista, è rintracciabile unicamente dalla sigla”. “Non c’è spersonalizzazione totale, c’è multiformità”. L’attacchinaggio è in centro e nelle periferie, facendo attenzione a opere d’arte o monumenti. “C’è un confine tra l’illegittimità e l’illegalità: il pubblico ufficiale deve avere l’intelligenza di riconoscerlo. Il nostro è un atto formalmente illegale, ma sostanzialmente legittimo”. “È un equilibrio di mutua tolleranza. Se volessero, interverrebbero pesantemente”. “Andiamo dove c’è un degrado superiore a quello che può provocare un foglio incollato. Diffondiamo bellezza, non spregio”.
Come è già evidente, le frasi che riporto mancano e mancheranno pure della firma con lettera e numero progressivo. È la precisa volontà dei miei interlocutori, giovani e meno giovani, di diversa provenienza e formazione varia. Una richiesta per rimarcare definitivamente, credo, che non è importante chi parla, ma cosa viene detto, e attribuirlo non al singolo, ma all’intero Movimento. Comunque, è salvaguardata sia la successione sia l’integrità delle dichiarazioni personali. Ogni virgolettato appartiene a una e una sola voce, che spero possa riconoscersi leggendo.
Il Movimento per l’Emancipazione della Poesia viene creato nel 2010 a Firenze da un gruppo di ragazzi che, una sera forse come questa, scoprono di condividere l’amore per la poesia. “Nessuno sapeva che l’altro scriveva, né aveva letto niente di suo. Allora si sono chiesti: come mai scriviamo, ma non ci facciamo leggere? Ne è nata un’indagine che ha definito la poesia contemporanea come ingabbiata in vari meccanismi, primo fra tutti l’editoria: il mercato impone dall’alto la scelta di cosa scrivere, vendere e leggere. L’esigenza del MEP è emancipare la poesia, in primis, da questa gabbia che è l’economia”.
Il primo atto del gruppo fondativo doveva essere un gesto catartico e autoconcluso, un grande attacchinaggio per la città a significare: noi scriviamo poesia e vogliamo farla leggere. Tuttavia dura ancora, avendo posto le basi di un solido agire poetico e politico, che continua da otto anni. “Il Movimento è strettamente legato a un processo che va di pari passo con l’evoluzione della società. Il MEP non è mai uguale a se stesso, cerca sempre di interpretare le necessità della società, di modificarsi a seconda della collocazione che la poesia ha, giorno dopo giorno”.
Rammentano la poesia, non i poeti, diversamente, ad esempio, dalla Società dei Poeti Estinti del film di Peter Weir L’attimo fuggente. E si propongono, cito dal Manifesto, di restituirle “il ruolo egemone che le compete sulle altre arti”. “Il Manifesto risale al 2010, è volutamente provocatorio. Siccome la poesia è un’arte ormai pressoché dimenticata, la provocazione è sostenere che non solo esiste ed è importante, ma è addirittura egemone. Quanto al rapporto dell’opera con l’autore, il MEP ha risposto quando ha messo l’anonimato. Ciascuno, poi, ha la sua poetica e se la vive a suo modo”.
Pur firmandosi con i numeri, conosciamo nomi e volti degli scrittori di un collettivo come Wu Ming. Dei poeti del MEP ignoriamo gli uni e gli altri. “Quello è un gruppo stabile: quando qualcuno lascia Wu Ming qualcuno ha lasciato Wu Ming. Quello che succede nel MEP, per quanto riguarda le entrate e le uscite, è solo una questione interna, non appare al di fuori”. Un anonimato a misura di obiettivo. “In comune con i Wu Ming abbiamo la ricerca di metodi di diffusione alternativi al diritto d’autore. Sul copyleft, ad esempio, ci hanno insegnato tanto. Allo stesso tempo, però, abbiamo uno scopo molto più ampio del loro: quello di emancipare la poesia”. Un’arte che non è in vendita, ma che viene messa a disposizione di tutti. “Come veniamo visti dal sistema dell’editoria per noi è irrilevante. Speriamo non come dei nemici. Noi non lo vediamo così, semplicemente non è il momento storico in cui la poesia ha bisogno di quello”.
Presi singolarmente hanno un ideale di lettore, ma il Movimento in quanto tale no o, meglio, siamo tutti noi. “È lo spettatore incosciente che si trova per strada e ha una crisi di realtà, trovando una poesia che tocca la sua sensibilità”. “La militanza poetica è violenta, supera la scelta di chi legge poesia, gliela sbatte in faccia: che tu lo voglia o no ti ci devi confrontare”. Ciononostante, scontri con le forze dell’ordine non ce ne sono stati finora. “Sappiamo di portare un valore aggiunto al tessuto sociale. C’è gente che va a fare attacchinaggio di propaganda politica, apologia di reato. Noi attacchiniamo poesie su dei fogli”.
Il Movimento per l’Emancipazione della Poesia pare dunque il frutto di una somma di autonomie nel rispetto della reciproca interdipendenza. Per non dire un’entità superiore, sovraindividuale, con gli occhi grandi come il mondo. “In un normale circolo poetico avremmo la totale libertà di fare quello che vogliamo, dalle firme con nome e cognome, ai reading, ai flash mob: il massimo della potenza di un circolo chiuso. Invece che in un cerchio noi siamo in una ‘u’, un circuito aperto, un non-circuito, con cui possiamo acquisire tutto quello che c’è fuori. La chiusura non ci interessa per niente”.
La questione fondamentale è stare assieme, non tanto per vedere attaccata al muro la propria lirica, quanto perché più componimenti vengano letti da più persone, nel maggior numero possibile di luoghi. Per aderire al MEP bisogna prima rendersi conto di identità e pratiche adottate e poi, se si ritiene di condividerne le finalità, ci si può “candidare” tramite email agli indirizzi dei nuclei al momento attivi reperibili nella sezione ‘Contatti’ del sito del Movimento. “Nel MEP si entra a far parte di una comunità. Ogni autore sceglie cos’è poesia e la mette al servizio degli altri per farla usare, secondo il copyleft, come il MEP ritiene più opportuno. Può anche non vederla diffusa affatto. Ciononostante, in linea di massima cerchiamo di renderle pubbliche tutte. Quando facciamo attacchinaggio scegliamo le più recenti, più a caso che si può, per non coinvolgere ogni volta i medesimi autori”.
La vivacità del Movimento è il risultato di decisioni prese in modo collegiale, in anni e anni di incontri, proposte, dibattiti. Non ci sono tempi o scadenze fisse, né per le riunioni, né per le affissioni. “Ci ritroviamo via via che uno ha qualcosa di importante da discutere con gli altri. Se il tema è relativo al nucleo fiorentino ne parliamo tra di noi, se è di portata più ampia si può arrivare fino al livello nazionale”.
Un metodo di confronto che definiscono “ancestralmente civile”. La discussione viene fatta decantare finché non si arriva a un consenso collettivo: alla fine non prevale l’opinione dell’uno o dell’altro, ma il Movimento nella sua interezza. Lo stesso vale per le parole nei confronti della poesia. “Nel MEP ognuno di noi arricchisce se stesso, ma non sono le parole del singolo che acquistano forza, è la poesia che diventa un’ondata e si espande sempre di più”. E per qualcuno di loro è stato perfino “terapeutico”. “Dialogare e prendere decisioni tutti insieme ha influito su come mi esprimo nella vita di tutti i giorni. Mi ha cambiato”.