La stagione di balletto del Sadler’s Wells di Londra non si ferma nemmeno durante l’estate e continua a regalare performance di altissimo livello.
Tra i vari titoli, abbiamo assistito ad Autobiography a firma di Wayne McGregor, un brano di chiaro stampo contemporaneo che riunisce in un unico movimento danza, scienza e tecnologia.
Con Autobiography il coreografo mette in scena la parte più interna del suo essere, rappresentando in danza il proprio DNA.
Per capire il significato tutt’altro che semplice della piéce, partiamo dalla semantica del termine stesso: Autobiography si compone di tre elementi, self, life and writing, che potremmo tradurre in essenza, vita e scrittura.
Per rappresentare l’essenza, punto di partenza sono i ricordi, le memorie i brani musicali e gli autori che hanno segnato l’esperienza di vita e di arte di McGregor: per citarne alcuni, i ricordi degli anni sui banchi di scuola, il racconto mitologico di Icaro oppure Beckett o Cunningham. Da questi elementi McGregor crea i 23 volumi che compongono la libreria della sua vita: 23 volumi come i 23 cromosomi del genere umano, che vengono tradotti in movimento attraverso un processo coreografico guidato dai principi scientifici di variazione mutazione e replicazione.
La vita, dunque, si ricollega alla storia genetica e al mistero del codice del DNA nascosto in ogni cellula del nostro corpo, che contiene tanto l’archivio del patrimonio genetico quanto il segreto del nostro futuro.
La scrittura è la parte forse più interessante del termine e della struttura coreografica.
Per ogni rappresentazione, infatti, un algoritmo basato sulla genetica di McGregor seleziona una parte diversa del codice, ossia i diversi volumi della sua vita da rappresentare, determinando così la sequenza di brani a cui il pubblico assisterà, gli interpreti tra i 10 danzatori della compagnia e l’ordine di apparizione in scena. Il sistema prevede che nessuna sequenza del codice possa ripetersi due volte, perciò ogni rappresentazione è davvero unica.
Tra i volumi selezionati nella serata inaugurale abbiamo assistito a nature, instinct, knowing, ageing, disequibrilising, sleep e choosing.
Le luci e le scenografie a firma di Ben Cullen Williams e Lucy Carter sviluppano un vero e proprio ecosistema in cui la danza fluisce spontaneamente e trova la sua collocazione ideale. I costumi di Alton Throup enfatizzano le espressioni individuali e i singoli i movimenti di ogni danzatore. Ogni elemento trova dunque il suo equilibrio in un sistema perfetto e scientificamente ordinato.
Il risultato è davvero coinvolgente. Unica pecca, i brani risultano essere piuttosto simili tra loro, sia dal punto di vista coreografico che musicale.
Il pubblico comunque apprezza, e non risparmia applausi più che meritati.
Letizia Cantù