Ritorna alle Orestiadi di Gibellina, 36 anni dopo,
GIBELLA DEL MARTIRIO
di Emilio Isgrò
l’evento teatrale che segnò l’inizio del Festival nel 1982
lettura con EMILIO ISGRO’ e FRANCESCA BENEDETTI
musiche di Francesco Pennisi
eseguite dall’ Ensemble Musica Contemporanea
del Conservatorio V. Bellini di Palermo
diretto dal M° Fabio Correnti
Baglio di Stefano, Corte inferiore – ore 21.15
Il 15 luglio ritorna a Gibellina, 36 anni dopo
, “Gibella del Martirio” di Emilio Isgrò: la lettura del testo, che nel 1982 segnò l’inizio della prima edizione del Festival, sarà con Emilio Isgrò e Francesca Benedetti, con le musiche di Francesco Pennisi eseguite dall’Ensemble Musica Contemporanea – Lorena Bellina (flauto), Marco Salvaggio (clarinetto), Michele Anzalone (fagotto), Giulia Perriera (vibrafono e percussioni), Giovanni Conciauro (pianoforte), Federico Botta (viola), Silvia Gira (violoncello) e Dario Ammirata (contrabbasso) – del Conservatorio V. Bellini di Palermo, diretto dal M° Fabio Correnti. Un ritorno simbolico per quest’edizione speciale a cinquant’anni dal terremoto che travolse il Belice, per un testo che non a caso fu commissionato a Emilio Isgrò e recitato da Francesca Benedetti, personaggio unico dello spettacolo attorniato dal coro, in uno scenario di rovine dove i lumi a petrolio illuminavano i disegni dei bambini.
“L’argomento, ovviamente, era il terremoto”, ricorda Isgrò, che dopo la prima esperienza proseguì negli anni successivi con la trilogia formata da Agamennuni, I Coefuri e Villa Eumenidi, oltre che con la processione in versi San Rocco legge la lista dei miracoli e degli orrori. “Lavorammo in condizioni precarie, anche se il Teatro Massimo ci dava una mano: io feci anche la regia perché non c’ era nessun altro che la potesse fare. Scrissi il testo in 15 giorni e man mano che scrivevo lo facevo leggere alla Benedetti. Ma l’idea forte fu proprio quella di partire da un drammaturgo anziché da un regista anche se la drammaturgia non esisteva fino a un momento prima: una prova di grande temerarietà. Capii che era una scommessa grossa. La scena era quella del terremoto e i personaggi uscivano da mucchi di rovine, come abitanti di un mondo sepolto dove c’era stata una cultura. Non feci uno spettacolo di dimensioni dialettali ma usai simboli forti della lingua: il siciliano si poneva all’ italiano come oggi le lingue europee si pongono rispetto all’ inglese. Era un taglio cosmopolita. Non so ancora come tutto questo sia riuscito, ma fu un evento magnifico”.
Per info www.fondazioneorestiadi.it