Moni Ovadia racconta a Fiesole l’ira di Achille, quella che tutti ricordiamo funesta dalla celebre traduzione del Monti, quella che inaugura l’Iliade. D’altra parte non poteva essere che nell’ira l’origine del poema della guerra, della forza, come dice Ovadia, mettendola a confronto con l’Odissea, che è invece il poema del viaggio, dunque della conoscenza. Achille è il più forte e valoroso guerriero acheo, il più temuto dai nemici troiani. La sua contesa con Agamennone, re dei Danai, può cambiare le sorti della guerra, come infatti accadrà. La causa della controversia è la decisione da parte di Agamennone, privato del suo dono di guerra, di appropriarsi di quello di Achille. Non si tratta di ori e argenti, né di bronzee armi, ma di donne: la bella Briseide al posto di Criseide, che il padre, sacerdote, è riuscito a riprendersi grazie all’intervento del dio Apollo. L’ira di Achille sembra giustificata dall’oltraggio di Agamennone, che, per risolvere il proprio problema, ne crea uno analogo al Pelide. Dalla lettura enfatica e passionale di Ovadia si deduce però, nella prima fase del dialogo, un atteggiamento, da parte dei due contendenti, più di capriccio che d’ira, che pare ben interpretare la tensione dell’esercito sfinito dall’assedio, ma pare anche destinata a esaurirsi dopo poco tempo. Invece cresce a dismisura, arde dentro i due eroi con sempre maggior fervore, fino a diventare quell’ira funesta tanto ricordata. Sarà placata soltanto da Atena, mandata da Era, e alla fine Achille concederà Briseide ad Agamennone, ritirandosi però dal combattimento.
Il pregio di Moni Ovadia è quello di riportare l’ira di Achille all’attualità, di vedere quella forza, caratteristica propria dell’uomo, come è cambiata oggi. O forse come è rimasta uguale, adattandosi soltanto ai cambiamenti del mondo. Con passione, più che con oggettività, con veemenza lirica più che con dovizia di cronaca, Moni Ovadia trasforma il canto omerico sull’ira in un inno alla pace tra i popoli. Svelando la profonda umanità degli eroi greci, come degli dei, l’Iliade parla dell’imbestiamento – così è stato definito – del genere umano: la violenza ferina di cui ci appropriamo per dirimere le nostre questioni, nell’antica Grecia come nella più stringente attualità. Il moderno cantore sviscera l’aspetto più crudo dei rapporti tra persone diverse, sia la loro una diversità di opinioni o culturale, partendo dal primo poema omerico. Primo in ordine cronologico delle vicende narrate, ma anche nel percorso mentale dell’uomo che vi si può leggere: prima la guerra, la violenza, l’imbestiamento, poi il viaggio e la scoperta, dunque l’intelligenza, quella originaria dell’intelligere, ovvero semplicemente capire. Con l’aiuto della filosofa francese Simone Weil e dell’autore italiano Matteo Nucci, consulente letterario del progetto Iliade, un racconto mediterraneo, Ovadia ci aiuta a capire l’ira dell’eroe greco, figlia della nostra stessa natura umana, e dunque a capire l’altro. Achille, dopo essersi infuriato per l’oltraggio, piangerà come un bambino davanti al cadavere dell’amico Patroclo, e con la stessa totalizzante intensità emotiva si vendicherà su Ettore, straziando il suo cadavere. Si ritroverà a piangere insieme al re troiano Priamo, due avversari, ognuno col suo lutto, vittime entrambi della stessa efferatezza.
Per info: www.estatefiesolana.it