Emanuela Tagliavia, danzatrice e coreografa, proviene dalla formazione in danza classica, completando la sua preparazione con la danza contemporanea, in Francia.
Figura esile e temprata dallo studio e la pratica delle discipline tersichoree. Di Emanuela, dai grandi occhi espressivi vagamente alla Piaf ed un taglio di capelli sbarazzino alla Valentina di Crepax, fin da giovanissima, educata alla espressività della “Divina Fracci”, con la quale ha lavorato, si annoverano le esperienze professionali in numerosi contesti: Compagnia Carla Fracci, Teatro Massimo a Palermo, Ballet du Louvre, Ballet de Temps Modernes, Europa Ballet. Ancora con la Compagnia di Susanna Beltrami, Ariella Vidach, C.ie Alain Marty, Philippe Tressera. In veste di Assistente coreografa al teatro San Carlo di Napoli, per Sparemblek, Nureyev, North, Malandain, Monteverde. Riceve il Premio Aldo Farina, a Sanremo nel 2012 – serata Unicef –. Premiata in qualità di danzatrice nella città di Montauban – Francia –. Dal 1999 è docente di danza contemporanea presso la Scuola di Ballo dell’Accademia del teatro alla Scala, dove le vengono affidate creazioni coreografiche. Anche Docente presso la Civica Scuola d’Arte Drammatica P.Grassi nella sezione di TeatroDanza coordinata da Marinella Guatterini. Insegnante presso la Scuola Professionale Danza S.P.I.D. diretta da Marta Levis. Incontrata fin dagli esordi, nella fucina delle Arti spid, in condivisione di ore di lezione e studio nelle sale dello i.a.l.s. C.S.C. in via Meucci a Milano, Emanuela Tagliavia, sfodera, da memore tempo, un nutrito ventaglio di esperienze professionali:
Der Demon di Paul Hindemith al Piccolo Teatro di Milano. Il Giro del Tavolo, progetto multimediale di Roberto Masotti per il Festival Jazz di Roccella Ionica. Itinerari nei Chiostri a Milano con Dodici minuti all’alba, progetto di Giorgio Gaslini. Corto Circuito, per la Scuola del Teatro dell’Opera di Roma. Waitingage, per la rassegna Danza da Bruciare a Roma. À la carte, per il Teatro Piccolo Regio di Torino e i Festival di Civitavecchia e Cagliari. Per la Scuola del Teatro alla Scala: Ceci n’est pas, La Valse a Mille Temps di Jacques Brel. Al Teatro Degli Arcimboldi, Da Carmen coreografia ispirata a la Tragedie de Carmen di Peter Brook. Presso Arco della Pace a Milano, movimenti coreografici in Caro agli uomini e agli Dei. Al Teatro Dell’Elfo, Le Cinque giornate di Milano. Per Società umanitaria lo spettacolo per bambini, Racconti di Sabbia. Per il Teatro alla Scala e la Scuola P. Grassi, Mine Haha, tratto dal romanzo di Frank Wedekind. Movimenti coreografici per il Nabucco a Busseto e Siena per la Fondazione Toscanini con le regie di S. Monti e V. Sgarbi. Autrice delle coreografie del Film Io no, di Simona Izzo. Attrice nello spettacolo Ascolta il mio cuore, tratto dal romanzo di Bianca Pitzorno, regia di R. Fuks. CoREografia The Great Opera in Aida per lo stadio di Seoul nel 2003, con la regia di Stefano Monti. Nel 2003 al teatro Bolshoi di Mosca, la coreografia Trio Destino. Nel 2004, in occasione del Festival Grand Pas, presentato al Teatro Bolshoi, En écoutant du Schumann. Dal 2002 collabora con la Galleria TA MATETE di Milano. Regista e coreografa dello spettacolo 506, ispirato al sommergibile E.Toti, presso il Museo della Scienza, nel 2006. Nel 2007, nell’ambito del Festival MITO, in occasione dell’esposizione di un frammento lunare, crea Luminare Minus per Luciana Savignano. Nel 2009, presso il Teatro Franco Parenti, nel contesto del progetto Futurista, crea Oscillazioni. Con la Compagnia Fattoria Vittadini, nel 2010, crea Pour un Herbier, per la Fondazione Pomodoro. Nel 2011, con la P. Grasii e Fattoria Vittadini, tratto dalla Tempesta di Shakespeare, crea Island.
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A quale età, Emanuela Tagliavia, muove i primi passi nella danza?
“Nella mia scuola elementare, facevano danza e così mi iscrissero ad un corso di danza classica. Ho continuato a studiare tutti i giorni con l’insegnante Gianna Ricci, e dopo la maturità, ho approfondito gli studi a Londra e in Francia”.
Qual è il motore, l’ispirazione che ha spinto Emanuela ad intraprendere questa via?
“In particolare, dopo gli studi con la tecnica Cranko e Cunningham, il mio interesse si è sviluppato verso lo stile della danza tecnica contemporanea, ed il mio particolare incontro nasce lavorando alla fine degli anni ‘80, nel periodo della Nouvelle Danse française”.
Ricorda un aneddoto particolare che stabilisce la scelta o meno, di esprimersi con il linguaggio coreografico di stile contemporaneo?
“Non ho sentito l’esigenza di dire…adesso faccio il coreografo… piuttosto la necessità di esplorare come danzatrice su me stessa e se devo pensare al lavoro primo che mi ha fatto scoprire questa possibilità, è il Demone di Hindemith. Oggi ci sono ballerini che da subito, a 23-24 anni si proiettano su progetti coreografici. Per me è la risultante del bagaglio della danzatrice, una evoluzione. L’incontro poi con mio marito, Giampaolo Testoni, compositore, è stato illuminante. Analizzare la musica in condivisione ed entrare in un universo che non è il mio, anche se si interseca…molto stimolante”.
Ci sono ancora sostanziali differenze di livello tra la scuola di pensiero francese o europea e quella italiana, nel campo della danza contemporanea?
“Per quanto riguarda il lavoro professionale in Italia, non c’è ancora il riconoscimento dell’identità professionale del danzatore e/o coreografo. Pochissimi investimenti da parte delle Istituzioni. Gli Enti lirici chiudono e tagliano in primis le Compagnie di danza, quindi si fa fatica a sopravvivere”.
Quale futuro per la danza, in Italia?
“La visione è dura, molto difficile. Oggi per essere competitivi bisogna avere una formazione completa. Non solo classica. Vedo sempre di più danzatori poliedrici e duttili, anche per sopperire alla mancanza di proposte, che il mercato del lavoro non offre”.
In ambito di formazione scolastica nella danza, quali modifiche apporterebbe?
“Lo studio ci vuole, di qualsiasi stile e approfondire gli argomenti per creare cultura. Spesso mi manca questo riscontro, nel fare lezione itinerante in tutta Italia, nelle Scuole private. C’è ancora troppa superficialità e poca attenzione alla didattica. La formazione è indispensabile: la danza è studio. L’educazione a tutto tondo a partire fin dalla scuola elementare. La cultura popolare che passa solo il messaggio…ha talento…non basta. Nemmeno ingessarsi nella formazione di una sola disciplina”.
Quando, e con quale scrittura coreografica si è cimentata per la prima volta?
“Il mio ricordo guarda alla creazione di “Der Demon” di Paul Hindemith, al Piccolo Teatro di Milano”.
Come è nato il sodalizio con l’étoile Luciana Savignano, che dura con profitto ancor oggi?
“Nasce il sodalizio nel 2007, nell’ambito del Festival Mito, creando per Luciana “Luminare Minus”, in occasione dell’esposizione di un frammento lunare, senza alcun riferimento al capolavoro “la Lune”, assolo creato da Béjart per Savignano. Il nostro, è un rapporto basato sullo scambio e la fiducia in continua trasformazione. Recentemente con Luciana, abbiamo lavorato sulla partitura e sul testo poetico di Pierre Louy, reso in musica da Debussy, con Chansons de Bilitis, in scena al Chiostro del Conservatorio di Milano. Una interazione tra musica, danza e parola. Dando corpo alle parole, ho lavorato in sottrazione nella sequenza dei vari quadri, in un clima erotico e seducente in una ambientazione minimal in stile liberty. In questa pièce teatrale tra musica-voce-non danza, il corpo sonoro di Luciana Savignano dai lineamenti esotici, diventa lo strumento musicale di trait d’union nell’incedere in moto circolare nella trama coreografica e teatrale drammaturgica”.
Che cosa vorrebbe raccontare con la danza che ancora non ha provato, o non le hanno commissionato?
“Sicuramente portare avanti una ricerca con una propria Compagnìa o Gruppo, con cui investire un personale linguaggio espressivo. Priorità e obiettivo è la ricerca. Nel momento del mio atto creativo, esploro dalle mie visioni oniriche, immagini, mai una storia definita, anche se il tutto è legato da un filo. Come per Funambolia. Parto da immagini in sovrapposizione con ciò che coltivo: film, letteratura, elementi vissuti, arte figurativa”.
Per concludere, quali sono i Progetti futuri imminenti?
“Debutto in autunno, dal 1 al 27 settembre, nell’Opera Alì Babà e i 40 ladroni di Luigi Cherubini, con la regia di Liliana Cavani al teatro alla Scala. In questa opera di due ore e cinquanta minuti, con il linguaggio di maniera tipico della musica a cavallo tra i secoli ‘700 e ‘800, mi è stata affidata la creazione coreografica della Festa di Nozze e del Baccanale nel secondo atto. Saranno in scena quattordici ballerini allievi, del 7° e 8° corso della Scuola di Ballo del teatro, oltre ad altri cinque adolescenti, che parteciperanno all’azione scenica del Coro. Un banco di prova importante per imparare da subito a gestire il complesso sistema della macchina scenica. Un lavoro stimolante per me, perché attendo informazioni dalla regista prima di procedere, rispettando regole di partitura già stabilite, mentre solitamente il mio ruolo è di essere anche regista di me stessa”.