Ciao Elisa Greco, finalmente abbiamo un’Arpista a cui rivolgere la nostra intervista.
L’Arpa è uno strumento musicale che affascina sia per il suo suono che per l’aggraziata forma. Sappiamo ne
esistono vari tipi, con differenti forme e corde, molto utilizzata nei tempi antichi, attualmente c’è un
ritrovato interesse in particolare nelle cerimonie, teatri ed eventi, e in particolare a Roma , dove appunto insegni adesso però vorremmo sapere qualcosa di te!
Intanto mettiamo il tuo sito sito web https://www.elisagreco.it/
- Quando è avvenuto il tuo primo incontro con l’arpa e com’è nata questa passione?
Studio musica dai sette anni e una volta terminate le scuole elementari mia madre mi indirizzò al Conservatorio di Musica, dove avrei potuto frequentare i corsi di uno strumento e la scuola media interna al Conservatorio stesso. Lo strumento che studiavo allora era il violino, ma io per curiosità mi volli iscrivere anche all’esame per l’arpa. È allora che avvenne il mio primo incontro con questo strumento, proprio nel momento dell’esame di ammissione al Conservatorio. Ricordo vividamente la scena, bussai alla porta dell’aula in cui si sarebbe svolto l’esame, era tutto molto luminoso e al centro c’era lei, l’arpa. È stato amore a prima vista. Alla fine, superai entrambi gli esami di ammissione. La mia famiglia mi lasciò libera di scegliere, e io scelsi lo strumento che mi aveva stregata, l’arpa appunto.
- È lungo il percorso per diventare un’arpista professionista?
Fare dell’arpa una professione non è certo cosa semplice. Lo studio dell’arpa è lungo e faticoso ma ricco di soddisfazioni. La preparazione tecnica e interpretativa è imprescindibile e va sempre coltivata. Altri ingredienti fondamentali sono tanta forza di volontà, tenacia e coraggio. Ma il motore che fa andare avanti tutto è senza dubbio la passione, grazie ad essa ogni impegno diventa un piacere. Questo percorso può articolarsi in molte strade diverse, dalla carriera da solista o in orchestra, all’ambito dell’insegnamento, ai contesti di intrattenimento, fino agli ambiti dell’arpaterapia e della musicoterapia che portano la musica d’arpa in contesti clinici o di riabilitazione.
- Qual è stato l’aspetto più bello dello studiare l’arpa?
L’aspetto più bello dello studiare l’arpa e di suonarla è senza dubbio il poter comunicare, senza aver bisogno di parole, ma solo con la musica. La musica dell’arpa crea una chimica molto particolare per cui quando qualcuno che mi ha ascoltato mi viene a salutare o ringraziare, mi sembra di conoscerlo, mi sembra di esserci entrato in confidenza, perché magari la mia musica gli ha sussurrato qualcosa al cuore.
- Quanti tipi di arpe ci sono?
L’arpa ha subito una lunghissima evoluzione nel tempo, dall’antico Egitto fino ad arrivare all’arpa Erard, che ha 47 corde ed è quella principalmente suonata nelle orchestre classiche e insegnata nei Conservatori. Tuttavia, esistono ancora modelli di arpe antiche, che hanno caratteristiche molto particolari, alcune hanno due o perfino tre file di corde. Inoltre, l’arpa si è radicata in certi territori nei quali ha assunto conformazioni particolari, come in Irlanda, in Sud America e in Baviera. Esiste anche l’arpa cinese, che però ha una forma molto diversa perché è orizzontale, quindi più simile ad un salterio. Cambia molto anche la tecnica per suonarla!
- Quali sono i pezzi musicali a cui sei più affezionata e che con l’arpa acquistano un sapore speciale?
Il mio brano del cuore, è senz’altro l’Allegro dalla Sonata VI in La maggiore di Pietro Domenico Paradisi (noto anche con il titolo di Toccata per arpa), più conosciuta come la colonna sonora dell’Intervallo che la Rai trasmetteva nei vuoti di programmazione. È una musica davvero bellissima tanto che viene anche riutilizzata in molti film e spot pubblicitari. Ricordo che all’inizio dei miei studi la sentii da una compagna di classe più grande e decisi che il mio obiettivo era poter suonare quel brano così dolce e incalzante allo stesso tempo, quasi ipnotico. Ci sono riuscita e per la sua difficoltà è stato parte del repertorio del mio esame di Diploma. Mi capita spesso di suonare la Toccata di Paradisi, durante cene e wine-bar, ed è sempre un successo. L’Ave Maria di Schubert, così solenne e maestosa, impreziosisce tante cerimonie religiose nelle quali suono. Un brano che ho studiato di recente durante la presentazione di un libro è che piaciuto moltissimo è Rivers Flows in You di Yiruma, una musica molto dolce ed evocativa. Durante gli aperitivi mi piace molto stupire con canzoni pop italiane e straniere, tra le mie preferite, Il Cielo in una stanza di Gino Paoli, Clocks dei Coldplay e Wish you were here dei Pink Floyd.
- Sappiamo che insegni a Roma, solitamente l’arpa è più praticata dagli uomini o dalle donne?
L’arpa è molto più suonata dalle donne che dagli uomini. Questo deriva da un pregiudizio per cui l’arpa è considerata uno strumento “femminile”. Sicuramente una famosa arpista del passato ha contribuito a creare questo stereotipo, sto parlando della regina Maria Antonietta, che studiava e amava farsi ritrarre con l’arpa. Si diffuse così una moda per la quale le giovani nobili francesi iniziarono a suonare l’arpa nei salotti, emulando così la loro sovrana. Poi i film e la televisione, hanno continuato questo stereotipo. Ho letto che in una scuola inglese gli allievi maschi non sceglievano l’arpa per paura di essere bullizzati. Si tratta appunto solo di un pregiudizio, tra i più grandi arpisti della storia e anche al giorno d’oggi annoveriamo tantissimi uomini, solo per ricordarne alcuni, Nicanor Zabaleta, David Watkins, Xavier de Maistre o Emmanuel Ceysson. Purtroppo, il mondo della musica non è immune a queste forme di sessismo, si pensi alla fatica che fanno le donne nel mondo “maschile” degli ottoni o della direzione d’orchestra. Personalmente incoraggio chiunque sia interessato allo strumento ad intraprendere questo studio, a prescindere dal sesso. Un passo in avanti è stato fatto da una grande arpista e mia insegnante la Maestra Gabriella Bosio, che nel suo metodo per arpa, meravigliosamente illustrato ha volutamente richiesto che l’arpista disegnato fosse un bambino, un piccolo passo per combattere questo pregiudizio.
- Si possono prendere lezioni anche senza comprare lo strumento?
Sì all’inizio per le mie lezioni, non è necessario possedere un’arpa. La lezione avrà una parte di ripasso e una parte in cui si apprendono nuovi elementi. Nel corso del tempo se l’allievo confermerà il suo interesse iniziale potrà valutare diverse soluzioni tra cui l’affitto, il leasing o l’acquisto di uno strumento. Oggi tutti i principali produttori di arpe propongono soluzioni molto vantaggiose proprio per incentivare lo studio di questo strumento.
- A quali cerimonie o eventi preferisci partecipare con l’arpa?
Non c’è un evento in particolare perché per me suonare l’arpa è sempre un piacere. Nelle occasioni più liete la musica dell’arpa aggiunge allegria, spensieratezza, ricercatezza, mentre in quelle più tristi l’arpa comunica pathos, sentimento e solennità.
- Oltre l’arpa cosa ti piace nella vita?
A me piacciono moltissimo i bambini. Il mondo infantile mi colpisce e mi affascina molto e per molte ragioni diverse. Mi colpisce sempre l’ingenuità, la bontà dei bambini, la loro sincerità, e la loro capacità di fare domande che spiazzano. Insomma, la loro spontaneità e il loro essere senza filtri! Poi mi sorprende sempre la loro energia, e l’energia che trasmettono a chi li circonda, non si stancano proprio mai. Anche la loro curiosità è meravigliosa, la loro voglia di apprendere, di scoprire il mondo e la loro mentalità aperta, senza schemi mentali e senza preconcetti. Per questo mi piace molto insegnare l’arpa ai bambini, in particolare sto studiando il metodo Suzuki che è una metodologia didattica molto particolare, secondo la quale i bambini vivono la musica come un gioco e apprendono per imitazione, per intenderci prima la pratica e poi la teoria. Quello che vedo insegnando ai bambini è qualcosa di indescrivibile, i loro progressi, il loro impegno, la loro gioia nel suonare mi colpisce sempre. Non a caso in tante lingue, giocare e suonare si indicano con la stessa parola, dall’inglese “to play” al francese “jouer”, al tedesco “spielen”. È ora che anche in italiano si inizi a “giocare l’arpa”, e non solo per i bambini ma a tutte le età!