La riproposizione di una produzione recentemente sulle scene crea un continuo gioco di somiglianze e differenze.
Scelte musicali, ripensamenti registici e cast di levature differenti, assieme ai vividi ricordi, tutto gioca nel complesso calcolo del mi piace e non mi piace.
Questa produzione del Fidelio di Beethoven che riprende la regia di Deborah Warner della stagione del 2014-2015, non è stata da meno.
Fin dall’ouverture.
Baremboim, allora all’ultima prima di S.Ambrogio come direttore musicale, optò per ouverture Leonore n.2 mentre Myung-Whun Chung, alla prima direzione scenica del Fidelio, opta per la Leonore n.3.
Questa differenza a prima vista solo numerica nasconde, invece, un’idea diametralmente opposta nella concezione dell’opera stessa.
Se quella del 2014 fu più tragica, massiccia, quasi pessimistica, l’interpretazione del direttore coreano opta per una rilettura asciutta e luminosa, dai tempi ondivaghi, privo di vigore selvaggio ma solo di pace intellettuale.
Oggi come allora, nonostante la polemiche dei giornali all’epoca, la regia funziona.
Adatta a chi ama le trasposizioni moderne delle opere (astenersi puristi del libretto, alcuni dialoghi sono stati aggiunti dalla regista stessa), assolutamente attuale nella sua luce su dittature e prigionie, risulta un poco buonista nel finale, nel messaggio beethoveniano sul valore di libertà e giustizia, e soprattutto incoerente con l’esecuzione sommaria di Don Pizarro fuori scena.
La profondità dell’area scenica, anche grazie ai costumi e nelle scene di Chloe Obolensky, permette, grazie anche alle grandi scene corali, come sempre preparate ottimamente da Bruno Casoni, di creare più livelli registici che rendono tutto più discorrevole, anche nei recitativi recitati.
Una regia che però, come i costumi, sembra essere stata riadattata sul materiale umano che la esegue. Certo, passati quattro anni è dura ricordarsi i dettagli ma le impressioni avute dagli esecutori odierni e dalle loro interpretazioni è quella di una caratterizzazione dei personaggi differente.
Caratteri positivi e negativi, sia nel buio della prigione sia nella luce dorata della liberazione finale, che devono a Jean Kalman, nella ripresa di Valerio Tiberi, molto dell’effetto scenico.
Ingiusto e volutamente denigratorio fare un confronto fra il cast di quest’anno e quello completamente differente di allora.
Occasioni diverse, una apertura di stagione, l’altra opera quasi in fondo al calendario del cartellone.
Non per questo però i cantanti hanno mal figurato.
Ricarda Merbeth,Leonore/Fidelio, regge egregiamente la scena e se nel primo atto risulta un po’ difficile immedesimarsi nel personaggio, ricordiamo comunque “sotto copertura”, gli slanci d’affetto e di amore coniugale sono ben resi nel secondo atto.
La ruvidità di Luca Pisaroni, Don Pizarro, ben rende l’aura di autorevolezza del freddo e calcolatore aguzzino, ben si contrappone all’umanità solare del carceriere Rocco, Stephen Milling, forse il più immedesimato nel ruolo.
Di sofferenza, sia scenica sia per difficoltà intrinseca, la parte di Florestan, Stuart Skelton, abile a uscirne fra gli applausi.
Ultima recita, non in abbonamento, con partecipazione estiva nei numeri del pubblico.
I decibel degli applausi finali, invece e per fortuna, non erano in vacanza.
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Sabato 7 luglio, Teatro alla Scala, Milano
Fidelio
Opera in due atti
Libretto | Josef Sonnleithner, Georg Treitschke
Musica | Ludwig van Beethoven
Direttore | Myung-Whun Chung
Regia | Deborah Warner
Scene, Costumi | Chloe Obolensky
Luci | Jean Kalman (riprese da Valerio Tiberi)
CORO e ORCHESTRA DEL TEATRO ALLA SCALA
Maestro del Coro | Bruno Casoni
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Personaggi ed interpreti principali:
Florestan | Stuart Skelton
Leonore | Ricarda Merbeth
Don Fernando | Martin Gantner
Don Pizarro | Luca Pisaroni
Rocco | Stephen Milling
Marzelline | Eva Liebau
Jaquino | Martin Piskorski