Cosa caratterizza la figura del protagonista in un’opera?
Diverse risposte si otterrebbero a seconda di chi interpellato a riguardo.
Il soprano-diva evidenzierebbe come il suo ruolo è irrinunciabile e muove ogni filo dell’azione, il tenore direbbe che senza i suoi lirismi l’opera si fermerebbe dopo poche scene, il basso, infine, direbbe che senza un cattivo non si potrebbe andare lontano.
Il direttore d’orchestra, dal canto suo, potrebbe parlare dell’importanza della tessitura di un personaggio rispetto all’altro o si limiterebbe a indicare chi ha la sortita ariosa più riuscita.
E un regista?
Il regista, letto libretto e partitura, vuole raccontare una storia e pertanto, soggettivamente, sceglie punti di vista da evidenziare e ci coinvolge nella proprio narrazione.
Non stupisca dunque che a dispetto del titolo (Il Pirata), dell’aria di sortita (Gualtiero, ovvero il Pirata) e della tessitura più impervia (neanche a dirlo, il Pirata), chi governa la scena di questa ripresa dell’opera belliniana sia il soprano, Imogene.
Certo siamo in un periodo in cui Carmen non muore più sotto la gelosa mano di Josè ma anzi ne diventa giuria e boia, in cui il movimento del #metoo, che ha risvegliato le coscienze femministe in tutto il mondo, ci ha portato a prendere le difese e la visione femminile di ciò che ci circonda.
È pur vero che Bellini, a cui sono associati alcuni fra i personaggi femminili più importanti della storia dell’opera, ha sempre dato un grande risalto ai suoi soprani; però “Norma” chiarisce fin da subito chi sarà il personaggio; “Capuleti e Montecchi” a dispetto del dualismo Giulietta/Romeo è dato a un soprano e ad un mezzosoprano ed infine “La Sonnambula”, per ricordare tre fra i titoli più presenti nelle stagioni operistiche, pur non citando direttamente la protagonista, ci anticipa una sua peculiarità.
Porre in risalto Imogene, la sua passione celata e improvvisamente risvegliata, il dolore della perdita del marito e dell’amato in poche scene, la pazzia che ne consegue, indirizzano lo spettatore ad una sentita immedesimazione.
“Il Pirata” è un’opera fuori dal repertorio e mancava dalla Scala, dove ebbe la prima nel 1827, da sessant’anni. L’encomiabile intenzione della Fondazione di riportare in scena opere fuori dall’usuale cartellone si è scontrata con alcuni problemi che ad una ‘prima in tempi moderni’ era necessario affrontare.
Primo fra tutti la ‘pulizia’ di un’opera troppo bistrattata nelle ultime versioni.
Il direttore Riccardo Frizza nell’intervista rilasciataci in prossimità della prima, (https://www.teatrionline.com/2018/06/la-sfida-del-pirata-intervista-al-m-riccardo-frizza) ha insistito proprio sulla ripresa filologica il più possibile aderente al manoscritto.
Ed è questo il più grande plauso che si possa fare al direttore, una scommessa che in futuro potremo dire se è stata vinta.
Rimarchevole la grande energia profusa e la coerente sinergia con i cantanti, assecondati con cura e attenzione specialmente nei recitativi. Alchimia che, in alcuni punti, invece, è mancata con l’orchestra con la quale sono stati messi in secondo piano quei preziosismi dinamici che avrebbero potuto aiutare la fortuna di questa produzione.
I cantanti d’altra parte, aiutati dalla regia di Emilio Sagi, che li vedeva spesso inerti, sono risultati più impegnati nel completare l’intera opera (si sono già segnalati nelle precedenti repliche sostituzioni dopo il primo atto per indisposizione dei cantanti) che a concentrarsi sulle particolari richieste interpretative da partitura.
Di grande effetto, merito anche delle scene di Daniel Bianco e dei costumi di Papa Ojanguren, il finale dell’ultimo atto, forse il momento che più ci porta a schierarci al fianco di Imogene.
Il lungo vestito nero che la protagonista, una valida Sonya Yoncheva, porta con sé fino a coprire l’intera scena, rappresenta quell’insieme di rimpianti e colpe che hanno solo le donne che amano.
Un applauso di stima a Pietro Pretti.
La sua sfida ad un ruolo, Gualtiero, che forse due o tre cantanti al mondo possono affrontare senza rischi, è a mio avviso vinta, sia per la concentrazione che per la convinzione profusa.
Nicola Alaimo, nel faticoso ruolo di Ernesto per l’estensione particolarmente acuta a cui non è abituato, sopperisce all’immobilità registica con l’ottima presenza scenica.
Molto validi i comprimari, Francesco Pittari, Riccardo Fassi e la ottima Marina De Liso, privi di quei patemi sopra descritti e quindi più liberi di caratterizzare i loro personaggi.
Dispiace parlare dei fischi che hanno accompagnato le prime serate di questa produzione (alla replica del 12 luglio non se ne sono sentiti).
Pur capendo il desiderio che ogni opera scaligera svetti per originalità, brillantezza e spessore, bisogna tener da conto che alcune opere necessitino di un apripista che porti queste esecuzioni nel campo dell’usuale perché è solo attraverso la ripetizione e la riproposizione che si può perfezionare l’opera.
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Giovedì 12 luglio, Teatro alla Scala, Milano
Il Pirata
Melodramma in due atti
Libretto | Felice Romani
Musica | Vincenzo Bellini
Direttore | Riccardo Frizza
Regia | Emilio Sagi
Scene | Daniel Blanco
Costumi | Pepa Ojanguren
Luci | Albert Faura
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CORO e ORCHESTRA DEL TEATRO ALLA SCALA
Maestro del Coro | Bruno Casoni
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Personaggi ed interpreti principali
Imogene | Sonya Yoncheva
Gualtiero | Piero Pretti
Ernesto | Nicola Alaimo
Itulbo | Francesco Pittari
Goffredo | Riccardo Fassi
Adele | Marina de Liso