Non soltanto canzoni. Caparezza arriva a Prato con in serbo un discorso, un grande discorso sulla libertà. La ruota da criceto oppure la prigione robotica sulla scenografia: ogni particolare è destinato a sottolineare la prigionia dell’uomo. Schiavi di una moda, di un valore, di una vizio piuttosto che di una virtù, carichi – come recita Una chiave – del peso delle aspettative. È un Caparezza profondamente mutato: smessi i panni del rapper-autore di pezzi apparentemente non sense, il cantautore pugliese ha dovuto incontrare il morbo di Larsen, la sofferenza dell’acufene, per imparare un nuovo modo di fare musica. Più rivolta, forse, a se stesso, al tormento di un musicista improvvisamente orfano della possibilità di ascoltare il suono della sua vita. Così, dopo un inizio in sordina – con pezzi che non hanno scaldato la grande folla accorsa a Piazza del Duomo – l’atmosfera si è riscaldata, grazie a brani come La mia parte intollerante, un grandioso manifesto di umanità contro una piaga non certo recente ma, in ogni caso, sempre più alla ribalta. Il discorso sulla libertà, come accennato poc’anzi, ha attraversato come un filo l’intero spettacolo, quasi come se il cantautore pugliese sentisse il bisogno di non essere ridotto alle sue canzoni, un errore che molti artisti hanno sempre denunciato (Ligabue – Non dovete badare al cantante). Il pubblico, piuttosto eterogeneo, ha accolto con grande calore Caparezza, che ha ricambiato non risparmiando alcunché del proprio repertorio, sebbene la scenografia iniziale, nel parere di chi scrive, non sia riuscita ad accompagnare totalmente il fil rouge dello show.
Più in generale, Caparezza sembra accordare la sua preferenza ad uno spettacolo totale, lontano dai cliché dei nostri cantautori più noti, per i quali chitarra, violino e cori sono già sufficienti. Una scelta che, alla lunga, potrebbe rivelarsi infelice, costringendo l’artista pugliese ad un’ambiguità di fondo tra il messaggio delle canzoni e la laboriosità che segna la scenografia.
Tuttavia, non è certo in discussione la disponibilità di Caparezza a servire il suo pubblico, dal momento che il cantautore di Molfetta ha intonato pezzi celebri e ben lontani dalla sua poetica attuale, a metà tra l’omaggio e il ricordo.
La chiusura, purtroppo polemica ma piuttosto sentita, specie tra i giovani, riguarda il costo del biglietto di ingresso, capace di lievitare di circa 20€ in tre anni. Senza discutere la bravura, la capacità di reinventarsi e di stupire ancora di Caparezza, pare lecito domandarsi perché – alla luce di che cosa? – il prezzo per assistere al concerto abbia subito questa impennata. Secondo molti, è ancora in auge la vecchia questione di una classe musicale borghese che gioca a fare la compagna, che si diverte a divertire soltanto per arricchire.
Caparezza, però, è molto, molto altro.