Emanuele Martinuzzi, giovane scrittore pratese (classe ’81), amico e collaboratore di TeatriOnLine, ha pubblicato quest’anno la sua nuova raccolta di poesie, “Spiragli”, edita dalla casa editrice ENSEMBLE: una silloge che merita una lettura attenta e profonda e che ci trasmette l’espressione e la voce del suo Io.
Parlando di “Spiragli”… Come mai hai scelto questo nome? Perché queste tue poesie sono punti luce, piccole illuminazioni, che fendono un buio?
È un nome che si è abbracciato a questi versi con naturalezza, perché rispecchia l’atmosfera e il senso, ammesso ve ne sia uno, di questa raccolta di poesie. Si tratta di una silloge composta da 72 terzine sintetiche, liberamente ispirate all’ermetismo e alla poesia orientale, al confine con l’essere appunto spiragli di luce o anche di buio. Storie cadute da non si sa dove, frammenti di sentimenti, brecce incompiute, che si aprono come pause di un altrove nella pagina bianca, il vero protagonista di questa silloge, la domanda sospesa e irrisolta per chiunque legga o scriva.
Questa è una raccolta di poesie di un arco di tempo ben determinato o dilatato nel tempo?
Solitamente le mie raccolte precedenti avevano avuto tutte una lunga gestazione e poi elaborazione, mesi o anni per scriverle, per elaborarne la struttura interna o l’evoluzione tematica, etc. Questo lavoro poetico è stato scritto di getto in qualche giorno, con un labor limae ridotto all’essenziale, quasi nullo. Anche per questo è uno spartiacque rispetto a come mi sono relazionato fino ad ora alla scrittura, di conseguenza a come ho inteso la poesia. Poco intellettualismo, semplicità, improvvisazione.
Ne potresti approfondire o commentare una per noi, a tua scelta? Scoprire i retroscena di un testo è sempre un percorso affascinante…
“E in cammino
i versi si fecero
orme di pace.”
Questa è una poesia a cui sono molto legato, tra l’altro selezionata da Alessandro Quasimodo, Mogol, Mariella Nava e Mimmo Cavallo tra i testi più rappresentativi del concorso “Il Federiciano”, X edizione. Credo parli di me, di chiunque ami o ricerchi in qualunque modo la Poesia in ogni attimo della sua esistenza, non solo attraverso le parole o l’arte, ma soprattutto nei gesti più semplici o nelle emozioni, nei paesaggi dell’animo e naturali. Questo cammino dentro di sé diventa inevitabilmente un viaggio di pace, che lascia le sue orme nei cuori e nel tempo.
Potremmo dire che il senso artistico ti avvolge “tout court”: letteratura, fotografia, teatro… Se una tua poesia dovesse essere letta in pubblico, chi ti piacerebbe che lo facesse?
Credo sia importante per ognuno potersi esprimere, trovare la propria voce, anche per passare il tempo arricchendolo in modo costruttivo, dilettandosi a sperimentare, sempre con gioco e senso di scoperta, attraverso vari mezzi di comunicazione. In questo modo si ha la possibilità di incontrare persone che nella Poesia e nell’arte ricercano un momento di serenità e con loro condividere le proprie speranze, fragilità o domande inascoltate. Vorrei appunto che lo facesse un amico, una persona a me cara, che mi conosce e nutre per la Poesia sentimenti autentici.
Sei riuscito a definire cosa sia la poesia?
Ho abbandonato questa ricerca. Non si può definire l’indefinibile. Non si può dare confini allo sconfinato. Sicuramente supera le mie possibilità e anche l’idea che ho acquisito di Poesia, cioè nessuna. Ma lo si può vivere con l’animo, nelle parole, forse. Vivendo in questo tentativo vano mi sento di non vivere invano.
Tu affermi: “Il mio poetare si può definire classicismo d’avanguardia, perché guarda ad un passato originario all’insegna della continuità e allo stesso tempo progetta l’avvenire attraverso la trasfigurazione del presente”, quindi una sorta di commemorazione del neoclassico, ma con disarmonie e meno tendente al sublime?
Noto con piacere che ha dato una sbirciatina al mio blog “Emanuele Martinuzzi e la Poesia” (http://andthepoetry.blogspot.com) e alle frasi che ho inserito per ricordarmi da dove vengo, momenti cristallizzati in una riflessione. Questa è un’idea elaborata anni fa, quando avevo alcune certezze sulla mia scrittura, coordinate che nel viverla si sono dimostrate vanità del vento, sabbie mobili, morgane nel deserto. E poi l’avventura vera non è comprendere con l’intelletto la Poesia, ma farsi trasportare dalle parole poetiche, dal loro misterioso essere, prima che significare. Tutto il resto è materia per i critici letterari.
Fai parte del metateismo, che Gianmarco Puntelli definisce come “momento di contatto con il sacro, rappresentazione che porta il divino nella concretezza di una creazione fatta dall’uomo”. Tu però hai definito la poesia iconoclasta; non è una contraddizione?
Sono sempre stimolanti per la fantasia le contraddizioni, le fragilità e le imperfezioni credo, quindi se è una contraddizione accettiamola così com’è, lasciamola essere liberamente. Inoltre la frase a cui ti riferisci diceva della Poesia che è iconoclasta certamente, ma anche creativa. Come a dire che c’è un momento della distruzione che non è mai fine a sé stesso, anzi necessario alla successiva costruzione. I linguaggi si rinnovano dando nuova vita a vecchie forme. Tutto scorre.
Come sopravvive un poeta alla (e nella) società di oggi?
Non mi pongo questo problema perché non mi ritengo un poeta da corona di alloro. Provo a scrivere poesie, a gettare semi in un terreno a volte arido, a volte no. E anche vi fosse un terreno ostile, una siccità perenne, li getterei comunque. Si sopravvive con la grazia che la speranza dona alle cose. Poi è molto bello quando si scrive nella propria camera come se la pagina bianca con tutto il carico di emozioni che può ospitare fosse tutto il nostro mondo.