Lest we forget è una commemorazione in danza della prima guerra mondiale.
Creata originariamente nel 2014 a marcare il centenario dell’inizio della grande guerra, la pièce ritorna ora in scena dopo quattro anni a 100 anni dalla fine: dove le parole non bastano per ricordare le atrocità del conflitto, la danza cerca di parlare più forte.
Questa è la sfida dell’English National Ballet e della sua direttrice artistica Tamara Rojo, impegnati in un trittico di grande emozione creato dai coreografi Liam Scarlett, Russel Maliphant e Akram Khan.
No Man’s Land di Liam Scarlett è un’apertura particolarmente toccante e rievoca la separazione tra uomini e donne causata dalla guerra. 7 le coppie sulla scena tra cui si distinguono Alina Cojocaru e Isaac Hernandez: in una scenografia fatta di armi e munizioni, il loro pas de deux finale è un incanto di struggente emozione.
Scene e costumi sono curati alla perfezione da Jon Bausor. Particolarmente di fascino i guanti gialli indossati dalle donne, a rievocare i “canarini” – i proiettili creati dalle donne durante la guerra, che lasciavano una polvere gialla brillante ma terribilmente velenosa sulle loro mani.
Il coreografo ha sicuramente raggiunto l’obiettivo riportato nel programma di sala: far riflettere lo spettatore sulle atrocità che il genere umano è in grado di creare, e sui sacrifici che i nostri avi hanno vissuto durante la guerra.
Segue Second Breath di Russel Maliphant. Qui la danza cambia, e abbandona le linee classiche a favore di un movimento più fluido e dinamico, definito da uno spazio a sua volta determinato dai giochi di luce creati da Micheal Hulls.
Un altro struggente pas de deux lascia nello spettatore innumerevoli riflessioni: di nuovo protagonista Alina Cojocaru, che accanto a Junor Souza dimostra notevoli qualità tecniche anche in un brano lontano dal repertorio classico.
Il lavoro di Maliphant è particolarmente d’effetto e sicuramente ben riuscito, ma esce purtroppo penalizzato dal confronto con la pièce precedente e successiva.
Dust di Akram Khan chiude il trittico.
Il brano coinvolge dall’inizio, dove in silenzio una figura maschile (di forma quasi indefinita) si agita convulsa e spasmodica, alla fine, dove un intero corpo di ballo si muove sinuoso e lineare: ogni ballerino è una parte di una catena che funziona alla perfezione, prima di esplodere in mille pezzi sulla scena. Particolarmente struggenti i movimenti delle donne, meccanici e robotici a rievocare il lavoro nelle fabbriche.
Tra le fila del corpo di ballo riconosciamo anche Tamara Rojo, che sul finale regala una grande partnership con James Steeter. È insolito ma molto bello vederla impegnata in una danza così lontana dal suo repertorio: furiosa, tesa e incredibilmente intensa.
Lest we forget è dunque un capolavoro tanto di forma quanto di contenuto che ci auguriamo di poter rivedere presto in scena.
Letizia Cantù